Nei primi anni al timone, Erdoğan ha introdotto una serie di riforme liberali, in parte per conquistarsi la fiducia dell’Occidente e in parte per ridurre l’influenza dei militari. Quando ha ritenuto di aver raggiunto l’apice del suo potere, all’inizio del 2010, ha iniziato a rinnegare completamente queste promesse. Col passare del tempo, per esempio, i giornali indipendenti sono diventati incapaci di pagare gli stipendi al personale dopo il divieto di pubblicare annunci pubblicitari per generare entrate. Di conseguenza, circa la metà dei 1.800 giornali nazionali e locali ha dovuto chiudere i battenti e il tasso di disoccupazione in tutte le professioni dei media ha raggiunto il 40%. La Turchia è passata da “parzialmente libera” a “non libera” nella classifica annuale del centro studi Freedom House.
Erdoğan non si è fermato qui: negli ultimi anni, il suo governo ha introdotto una serie di regolamenti volti a limitare i media digitali, con il pretesto di combattere la disinformazione; questo ha portato alla chiusura di Ekşi Sözlük, il social network turco più popolare. Tuttavia, se si chiede allo stesso Erdoğan, sembra che sia vero il contrario: in occasione di un recente evento, il presidente turco ha affermato che “nel 2023 la stampa sarà molto più libera e molto più rispettata dal pubblico in Turchia. Tutti possono scrivere, dire ed esprimere ciò che vogliono“.
Un futuro migliore?
La candidatura di Kılıçdaroğlu è considerata una svolta per il paese. La sua ascesa a candidato presidenziale è durata decenni, galvanizzata da una marcia di quattrocentocinquanta chilometri da Ankara a Istanbul nel 2017 per protestare contro una serie di arresti, in seguito al tentativo di colpo di Stato del 2016. Kılıçdaroğlu ha promesso di guidare il ritorno alla democrazia parlamentare e si è anche impegnato a ripristinare l’indipendenza della magistratura, abbandonando l’uso del sistema giudiziario per reprimere il dissenso.
Il programma della coalizione di opposizione prevede riforme sostanziali per quanto riguarda la libertà di stampa, l’indipendenza del sistema giudiziario e il ripristino dello Stato di diritto. Secondo molti osservatori, un vento di libertà soffierà sicuramente sul Paese se Erdogan dovesse perdere. Kılıçdaroğlu ha promesso di attuare immediatamente le decisioni della Corte europea dei diritti umani e di intraprendere un cammino verso l’integrazione europea.
Lo sfidante di Erdoğan afferma che se vincerà porterà in Turchia libertà e diritti, costi quel che costi. “I giovani vogliono la democrazia – ha dichiarato alla Bbc -. Non vogliono che la polizia si presenti alle loro porte la mattina presto solo perché hanno twittato“. A simboleggiare la sua figura c’è una vignetta appesa nel suo ufficio, che lo mostra vestito con sandali e scialle per assomigliare al Mahatma Gandhi, mentre cammina verso il presidente Erdoğan. È un riferimento alla marcia del 2017 di Kılıçdaroğlu, soprannominato “Gandhi Kemal” dai media turchi.
In caso di vittoria di Erdoğan, invece, la strada sembra segnata: il successo del presidente porterebbe a un’ulteriore stretta, mettendo nel mirino le varie minoranze (come la comunità lgbtq+) e gli ultimi baluardi democratici del Paese, a cominciare dai media e dagli esponenti dell’opposizione.
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di Francesco Del Vecchio www.wired.it 2023-05-13 04:40:00 ,