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Data : 2023-01-12 08:20:08
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Il diritto penale italiano non prevede una fattispecie specifica per le molestie sessuali né per le molestie sessuali in ambito lavorativo, quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale che possono essere espressi in forma fisica, verbale o non verbale e che violano la dignità di una persona, creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Può essere considerata una molestia, ad esempio, un contatto fisico indesiderato (come un palpeggiamento), ma anche la minaccia o la ritorsione in seguito al rifiuto di una prestazione sessuale.
Finora, a seconda dei casi, i comportamenti sessualmente molesti o non sono stati riconosciuti o sono stati riferiti a altri reati: o sono stati integrati alla violenza sessuale, nei casi più gravi, o sono stati derubricati a violenza privata. Tra la violenza sessuale e la violenza privata c’è dunque un vuoto legislativo, una zona indefinita in cui agiscono a loro discrezione i giudici.
Tra le modifiche legislative che lo scorso governo non era riuscito a portare a termine c’era proprio l’introduzione nel nostro codice penale del reato di molestia sessuale e del reato di molestia sessuale sul luogo di lavoro. L’approvazione del testo-base in discussione nelle commissioni Giustizia e Lavoro (che unificava vari disegni di legge) era stato bloccato a causa dell’opposizione della Lega. Ora Valeria Valente, senatrice del Partito Democratico e presidente della commissione femminicidio nella precedente legislatura, ha presentato un nuovo disegno di legge. Si intitola “Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali e delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro”.
Il disegno di legge introduce nel codice penale il reato specifico di molestie sessuali grazie a un nuovo articolo, il 609-ter. Prevede di punire con la reclusione da due a quattro anni «chiunque, con minacce, atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, in forma verbale o gestuale, reca a taluno molestie o disturbo violando la dignità della persona».
L’articolo stabilisce anche che la pena venga aumentata della metà se dal fatto «commesso nell’ambito di un rapporto di educazione, istruzione o formazione ovvero nell’ambito di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, anche di reclutamento o selezione, con abuso di autorità o di relazioni di ufficio, deriva un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo».
Il reato è punibile su presentazione di una querela da parte della persona offesa. La querela può essere presentata entro dodici mesi ed è irrevocabile.
Perché è importante
Oggi in Italia la condotta tipica di violenza sessuale si verifica, secondo quanto scritto all’articolo 609 bis del codice penale, quando un soggetto «con violenza o minaccia o mediante l’abuso di autorità» ne costringa un altro «a compiere o a subire atti sessuali». Si verifica anche quando c’è induzione a compiere o a subire atti sessuali «abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto» o «traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona».
Il presupposto della sussistenza dei reati sessuali è la costrizione, cioè il contrasto tra la volontà di chi commette il reato e di chi lo subisce. L’ipotesi incriminatrice è una sola (“violenza sessuale”) diretta in origine a punire solo lo stupro e gli atti sessuali, ma nella prassi vi è stata fatta rientrare anche una parte dei reati che hanno a che fare con le molestie sessuali, almeno con quelle più gravi. Lo scorso dicembre, ad esempio, il tifoso della Fiorentina che aveva molestato la giornalista Greta Beccaglia dandole uno schiaffo sul sedere mentre lei era in diretta tv era stato condannato per violenza sessuale.
In altri casi giudicati “meno gravi”, le condotte moleste non caratterizzate da violenza, minaccia o abuso di autorità, pur causando una grave violazione della sfera della libertà sessuale e della dignità personale, non sempre sono state fatte rientrare nel reato di violenza sessuale: sono state punite solo attraverso fattispecie più blande, come la violenza privata per cui viene condannato anche chi, ad esempio, ostacola l’ingresso a dimora di un vicino con l’auto, o non sono state punite affatto.
Nel gennaio del 2022 il tribunale penale di Busto Arsizio aveva assolto Raffaele Meola, rappresentante sindacale della CISL, dal reato di violenza sessuale: durante un incontro di lavoro negli uffici del sindacato dell’aeroporto di Malpensa, Meola aveva palpeggiato un’assistente di volo. Il tribunale aveva confermato che erano stati compiuti atti sessuali, la vittima era stata ritenuta credibile e la fondatezza delle accuse era stata accertata da testimonianze di altre donne che avevano subito dallo stesso uomo comportamenti simili. Ma aveva assolto l’imputato perché la vittima aveva reagito dopo 20 secondi. Secondo le giudici, la mancanza di reazione aveva creato una sorta di consenso implicito.
La condotta dell’uomo, c’era scritto nella sentenza, «non ha implicato alcun costringimento fisico della vittima», previsto dall’articolo 609 bis del codice penale sulla violenza sessuale, «né si è concretizzata in atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa per insidiosità e repentinità»: l’assistente di volo durante la prolungata molestia «ha continuato a sfogliare e a leggere documenti senza manifestare nessun dissenso» ed era, secondo il tribunale, «nelle condizioni di potersene andare» perché la porta non era chiusa a chiave.
Di fatto, come ha spiegato Valeria Valente, il nostro codice penale non contiene uno strumento di tutela per i morti di molestie sessuali.
Molestie sessuali sui luoghi di lavoro
Il diritto penale italiano non prevede nemmeno per le molestie sessuali commesse in ambito lavorativo una fattispecie specifica. Nella giurisprudenza tali specifiche molestie, così come quelle non di ambito lavorativo, sono state associate, a seconda della gravità e delle modalità, a altri reati. Oppure, di nuovo, non sono state riconosciute.
In Italia è da poco entrata in vigore, dopo la ratifica del 2021, la Convenzione numero 190 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro. Il presupposto della Convenzione è che tali violenze non siano un problema individuale, ma che vadano affrontate in maniera strutturale.
La Convenzione riconosce che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro «possono costituire una violazione o un abuso dei diritti umani, sono una minaccia per le pari opportunità, sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso». E include un esplicito riferimento alla violenza di genere e alle molestie sessuali.
Il testo si basa su un concetto ampio di “mondo del lavoro”: non comprende la violenza e le molestie che si verificano solo nel luogo fisico del lavoro ma anche quelle che avvengono, ad esempio, nei viaggi di lavoro o nel tragitto dimora-lavoro. E include anche i casi di cyber-violenza, estendendo la protezione contro violenza e molestie che si verificano in occasione di un lavoro svolto attraverso strumenti informatici.
– Leggi anche: Che cos’è la cyber-violenza
La Convenzione si applica a tutti i settori e indipendentemente dalla situazione contrattuale di lavoratori e lavoratrici. E si articola su tre linee di intervento principali: protezione e prevenzione; verifica dell’applicazione e meccanismi di ricorso e di risarcimento; orientamento, formazione e sensibilizzazione.
La ratifica della Convenzione non è però sufficiente: richiede che ciascuno stato si impegni a adottare leggi e regolamenti che definiscano, proibiscano, contrastino e prevengano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro.
Il disegno di legge della senatrice Valente va in questa direzione. Oltre a introdurre nel codice penale il reato di molestie sessuali con un aumento di pena se vengono commesse sul luogo di lavoro, prevede la promozione di campagne di comunicazione per informare, sensibilizzare e prevenire. Stabilisce di rafforzare il ruolo dell’Ispettorato del lavoro a tutela di chi presenta denuncia e l’introduzione di misure premiali per chi adotta modelli di organizzazione e gestione aziendale che rafforzino monitoraggio e prevenzione.
I dati
I dati più recenti su molestie e molestie nei luoghi di lavoro si trovano nell’indagine dell’ISTAT pubblicata nel 2018 e intitolata “Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro”.
Si dice che, in Italia, sono 8.816.000 le donne dai 14 ai 65 anni che nel corso della loro vita hanno subito una qualche forma di molestia sessuale. Per la prima volta sono rilevate le molestie a sfondo sessuale anche ai danni degli uomini: sono 3 milioni 754mila gli uomini che le hanno subite nel corso della loro vita (18,8%).
Gli autori delle molestie sessuali risultano in larga prevalenza uomini: lo sono per il 97 % delle vittime donne e per l’85,4 % delle vittime uomini. Le molestie verbali sono la forma più diffusa, quelle con contatto fisico sono state subite nel corso della propria vita dal 15,9 % delle donne e dal 3,6 % degli uomini. Nella maggior parte dei casi, il 60 %, questo tipo di molestie sono state fatte da estranei o da persone che si conoscono solo di vista (15,8 %). Considerando l’intero corso della propria vita, avvengono più frequentemente sui mezzi di trasporto pubblici per le donne (27,9 % dei casi) mentre per gli uomini nei locali come pub, discoteche, bar (29,2 %).
In ambito lavorativo, sono 1 milione 404 mila le donne tra 15 e 65 anni che hanno dichiarato di aver subito dei ricatti sessuali o delle molestie fisiche da parte di un collega o di un datore di lavoro. Restringendo il periodo di osservazione ai tre anni precedenti l’indagine (2013-2016), queste molestie hanno riguardato oltre 425mila donne (il 2,7 %). La quota di coloro che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul lavoro tra il 2013 e il 2016 è inoltre più alta tra le giovani adulte (35-44enni) e le donne più istruite.
Per quanto riguarda i soli ricatti sessuali sul luogo di lavoro si stima che, nel corso della vita, ne siano state vittima 1 milione 173mila donne (7,5 %): per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere avanzamenti di carriera. Questi ricatti hanno riguardato soprattutto le donne laureate (8,5 %) e le donne dai 35 ai 44 anni e dai 45 ai 54 anni (rispettivamente 8,6 e 8,9 %).
Nella quasi totalità dei casi, l’autore del ricatto sessuale sulle donne è un uomo. Nell’11,3 % dei casi le donne vittime hanno subito più ricatti dalla stessa persona e il 32,4 % dei ricatti viene ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana. La grande maggioranza delle vittime (69,6 %) ritiene molto o abbastanza grave il ricatto subito.
Nell’80,9 % dei casi i morti non ne hanno parlato con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna, inoltre, ha denunciato il fatto alle cosiddette forze dell’ordine. Per i ricatti subiti nei tre anni precedenti all’indagine prevalgono come motivazioni la scelta di non accettare il ricatto e rinunciare al lavoro (22,4 %), la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine (22,1 %), l’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (19,5 %) e la paura delle conseguenze per sé e per la famiglia (indicata dal 18,3 % delle vittime).
Le molestie e i ricatti sul luogo di lavoro hanno conseguenze significative sulla salute fisica e psichica delle persone, sulla qualità della vita, sulle motivazioni al lavoro, sulla produttività e sull’assenteismo. Come ha spiegato in una recente intervista Graziella Silipo, responsabile del Dipartimento Salute e Sicurezza della CGIL Piemonte, «spesso chi subisce violenze e molestie anche sessuali incontra difficoltà a recarsi ogni giorno al lavoro e tende ad aumentare il numero di assenze, rischiando talora di perdere il proprio lavoro».
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