Dalla Regione a Genova la lunga scia delle tensioni. Le guerre, anche in politica, sostiene il governatore, cominciano sempre da un incidente di confine
«Ci deve essere qualcosa nell’aria» dice un imprenditore da sempre abituato a fiutare il vento e poi decidere a quale indirizzo spedire i suoi voti. Quando la Liguria e le sue città erano un bastione del centrosinistra, le mura caddero non solo per consunzione ma soprattutto per via del cannibalismo interno alla coalizione. Adesso che nel giro di un paio di tornate elettorali la regione un tempo rossa ha cambiato in modo netto colore e orientamento passando al centrodestra, la tendenza all’implosione rimane.
Giovanni Toti fa sua una immagine purtroppo di stretta attualità per vicende molto più delicate. Le guerre, anche in politica, sostiene il presidente della Regione, cominciano sempre da un incidente di confine. Da un pretesto. «Ma io non accetto questa logica da sotterfugio. Se alla Lega non va più bene l’esperimento ligure che dal 2015 è stato capace di portare il centrodestra su posizioni di governo e non di lotta fine a se stessa, meglio dirselo in faccia, senza allusioni e ripicche infantili. Facciano cadere il Consiglio regionale, io mi dimetto, e si torna a votare nella seconda metà di maggio, insieme alle elezioni amministrative».
Non è una minaccia, ma una possibilità concreta, tracciata con diagrammi e percentuali sul tovagliolo di un bar, che se non altro indicano la tentazione del ricorso alla prova di forza contro l’alleato riottoso. Perché se è vero che Fratelli d’Italia non ama la svolta centrista del presidente ligure e che Forza Italia attende istruzioni sul da farsi, questa sta diventando quasi una questione privata tra lui e la Lega, che non tollera più i suoi giudizi sferzanti sullo stato di salute del centrodestra. «Toti vada a cena con chi vuole» ha attaccato ieri Matteo Salvini. «Ma il nostro futuro non passa da Mastella e Renzi».
Fino a qui sono solo parole. Ma a forza di ripeterle, in Liguria stanno arrivando anche i fatti, con le singole alleanze messe in discussione. Edoardo Rixi, che non è solo il capo della Lega in Liguria ma una delle persone più vicine a Salvini, non tira indietro la gamba. «È lui che va ovunque a vantarsi di avere fatto esplodere il centrodestra nella partita del Quirinale. Vuole andare da solo e far cadere il suo governo? Faccia pure, noi non lo aiutiamo a suicidarsi. Ma decida anche cosa vuole fare da grande. O il leader nazionale, o il presidente di Regione. Così, fa male tutto. Perché la storia recente dimostra che i due ruoli sono incompatibili».
A gentile richiesta, cita con una certa malizia le esperienze pregresse di Bobo Maroni, Roberto Formigoni e Nicola Zingaretti quando si trovarono a guidare partito e regione di appartenenza. L’alpinista Rixi, genovese, ex viceministro, considerato un duro, ha interrotto da mesi i suoi rapporti con l’alleato che considera ormai un avversario. O peggio, un traditore. «Siamo noi che l’abbiamo messo lì». Toti invece rivendica l’indubbio successo della sua lista personale che due anni fa gli valse la riconferma. Fu in quei giorni che cominciò a sganciarsi dal canone sovranista seguito fino a quel momento. «Persone che hanno scritto con me il programma, che mi hanno implorato di assumere la delega alla Sanità durante la pandemia perché loro stessi non si ritenevano all’altezza del compito, adesso criticano il “loro” governo regionale. O ci credono, oppure così non si va avanti».
Volano stracci, ma è tutta una catena di affetti che in teoria né Toti né Rixi potrebbero spezzare, per citare il compianto professor Sassaroli di Amici miei. A maggio si vota per il Comune di Genova, con Marco Bucci gran favorito per la riconferma. Il sindaco manager, molto preoccupato per la situazione, fu scelto cinque anni fa proprio da Rixi, e viene considerato di area leghista. Al tempo stesso, intende ripresentarsi con un corredo di almeno tre liste civiche. La sua, quella di Toti e un’altra di stampo liberal riformista, insomma un invito all’area renzian-calendiana, che riproduce in modo fedele il progetto inviso alla Lega del presidente regionale, con il quale ha una intesa piuttosto forte. Cinque anni fa, La Spezia venne espugnata per la prima volta nella storia dal centrodestra con l’ex funzionario dell’Inail e segretario Cisl Pierluigi Peracchini, considerato una invenzione di Toti. E la Lega, pur presente in giunta, ha già fatto sapere che «da quando gli impegni romani hanno la precedenza sul governo della Regione», l’attenzione alla più grande città del levante ligure è stata nulla, quindi si potrebbe anche cambiare candidato.
Almeno a parole, il punto di non ritorno è già sparito dagli specchietti retrovisori. Sabato scorso gli alleati del centrodestra si sono visti a Genova per un vertice sulle candidature. Toti e gli esponenti della sua lista non sono stati invitati. Una settimana fa, mentre il presidente della Liguria interveniva a un talk show, la Lega ha abbandonato l’aula del Consiglio regionale in segno di protesta «contro la sua ennesima assenza», e il rifiuto di cedere le deleghe a Sanità e Bilancio. Ormai manca solo l’incidente di confine.
14 febbraio 2022 (modifica il 14 febbraio 2022 | 22:24)
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Marco Imarisio , 2022-02-14 22:50:25
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