Un lungo giorno di confronto tra il governo e il M5s, e poi con il resto della maggioranza, non ha portato all’intesa su ulteriori correzioni da apportare al decreto Aiuti. Di ora in ora l’approdo in Aula, previsto per il primo pomeriggio e poi per le 18,30, è slittato. Fino all’annuncio da parte del ministro pentastellato per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, poco prima delle 20: «In stretto collegamento con la presidenza del Consiglio ho sondato tutte le forze della maggioranza per capire se fosse possibile trovare un accordo per evitare di porre la questione di fiducia sul decreto Aiuti. La complessità della vicenda ha determinato un ritardo nell’andamento dei lavori. Valuteremo nelle prossime ore come procedere». Insomma, si va verso la fiducia al buio. Mentre nel M5s crescono le pressioni su Conte per uno strappo, ossia per il no alla fiducia, e il passaggio all’appoggio esterno.
La ricerca di un accordo sul decreto Aiuti
Da Palazzo Chigi le porte sono rimaste aperte tutto il giorno, e ancora rimarranno aperte in mattinata in vista dell’incontro tra Mario Draghi, di ritorno da Istanbul, e Giuseppe Conte fissato alle 16.30. «Ci è stato chiesto di non porre la questione di fiducia e abbiamo acconsentito, avvertendo solo sul rischio scadenza del decreto che deve andare anche in Senato ed essere approvato entro il 16 luglio. Ma è chiaro che l’accordo deve essere trovato all’interno della maggioranza, tra i partiti», si fa notare dallo staff del presidente del Consiglio. E l’accordo nella maggioranza non c’è. Lasciate sullo sfondo le questioni dell’invio di armi all’Ucraina e del no al termovalorizzatore nella Capitale, questioni sulle quali Draghi ha fatto intendere nei giorni scorsi che non ci sono margini di trattativa, il M5s ha puntato tutto sulle modifiche al superbonus da inserire nel decreto Aiuti: l’eliminazione della responsabilità in solido per sollevare da eventuali irregolarità le banche cessionarie e i privati a cui le banche possono cedere i crediti. Ma in questo modo sarebbe lo Stato a restare con il cerino in mano, cerino che costerebbe – secondo i primi calcoli – almeno tre miliardi di euro.
La frustrazione del centrodestra
Il no del centrodestra, soprattutto, ha bloccato la trattativa. Assieme alle perplessità del Pd. E non si tratta solo del merito della modifica che il M5s vorrebbe introdurre per portare a abitazione un risultato dopo giorni e giorni di penultimatum su svariati temi: per Lega e Forza Italia è una questione anche di metodo. «Stiamo fermi da tutto il giorno per i litigi interni al centrosinistra che rischiano di bloccare 15 miliardi di aiuti per famiglie e imprese italiane», tuona in serata una nota della Lega. Che lamenta la politica di “due pesi e due misure” da parte di Palazzo Chigi: «Quando si tratta delle nostre, di richieste, non riceviamo tutti questi riguardi». Insomma, se si tratta di piantare bandierine anche la Lega ha le sue, e così gli altri partiti: riaprire il decreto Aiuti significherebbe ridiscutere tutto. E non a caso Matteo Salvini è tornato ieri ad alzare i toni sulla concorrenza sposando la protesta dei tassisti: «È una materia che non rientra nelle riforme previste dal programma di governo e rischia di diventare tema altamente divisivo».
Incontro in salita
L’incontro tra Draghi e Conte si preannuncia dunque in salita. L’orientamento prevalente tra i 5 Stelle, ieri sera, era quello di votare sì alla fiducia e di astenersi sul provvedimento. Ma il nodo è politico: il presidente del M5s non può permettersi di uscire a mani vuote da Palazzo Chigi. Vero che Draghi ha fatto capire di essere disposto a stendere il suo mantello protettivo sul reddito di cittadinanza, ma per cancellare l’emendamento al decreto Aiuti voluto dal centrodestra che introduce un’ulteriore stretta ci vorrebbe, esattamente come sulla questione del superbonus, l’accordo nella maggioranza. E anche sul salario minino, altra richiesta-bandiera del M5s, il premier non può andare oltre la promessa di aprire un tavolo con i partiti e le forze sociali, vista la contrarietà del centrodestra. Intanto il segretario del Pd Enrico Letta, che con il M5s dovrebbe (avrebbe dovuto?) costruire il campo largo contro le destre in vista delle politiche, avverte: «Il nostro Paese ha bisogno di stabilità, di un governo forte e solido in grado di affrontare la sfida dell’inflazione più alta da 35 anni e del costo dell’energia. C’è la necessità di intervenire sulla sofferenza sociale…». Come a dire, ognuno si prenderà le sue responsabilità.