La vasta e millenaria diaspora in India non ha mai prodotto così tanti amministratori delegati, sparsi in tutto il mondo. Da Microsoft a Google, da Ibm a Starbucks. Un fenomeno che si può far risalire ai commercianti che, già nel 19esimo secolo, lavoravano tra Caraibi, Africa orientale e sud-est asiatico. Nel secolo successivo, la manodopera indiana si riversò poi in quel Golfo persico che si era scoperto ricco di petrolio. Al tempo stesso, la classe media, forte del legame coloniale, continuò a studiare, lavorare e avviare attività nel Regno Unito. Ma è con la liberalizzazione dell’immigrazione da parte degli Stati Uniti, nel 1965, e l’abolizione delle quote per Paese d’origine, che si produsse quel flusso che ha portato la nazione a stelle e strisce a diventare la principale destinazione della diaspora indiana. E del suo successo.
Una delle storie più straordinarie di immigrazione nell’ultimo mezzo secolo, la definiva un volume uscito ormai qualche anno fa con il titolo The Other One Percent, in riferimento al fatto che le persone di origine indiana costituivano all’epoca della pubblicazione (Oxford University Press, 2016) poco più dell’1% della cittadinanza americana ed erano principalmente benestanti, socialmente ben inserite e laureate.
Storie di successo
A questo fenomeno, che abbraccia anche il Regno Unito per ovvie ragioni importanti, si deve una generazione oggi al vertice globale, nella politica quanto negli affari. Si va da Rishi Sunak, primo ministro britannico (sposato con Akshata Murty, nata nello stato indiano del Karnataka e figlia del inventore del colosso dei servizi IT Infosys) il quale ha da poco nominato Claire Coutinho, nata a Londra da genitori originari di Goa, a capo del decisivo, di questi tempi, ministero dell’Energia. Hanno origini indiane anche la manager a capo di Chanel, Leena Nair, e Rajeev Suri, numero uno della Società britannica di telecomunicazioni satellitari Inmarsa.
Guardando all’altro lato dell’Atlantico, spiccano due contendenti per la nomina repubblicana alle elezioni presidenziali del 2024, Nikki Haley e Vivek Ramaswamy, ma anche la vicepresidente democratica in carica, Kamala Harris: tutti indo-americani. È nato in uno dei templi dell’It made in India, Pune, anche Ajay Banga, ex numero uno di Mastercard che il presidente Joe Biden ha candidato, con successo, alla presidenza della Banca mondiale.
Diaspora e impresa
È tuttavia nel mondo dell’impresa che, negli ultimi anni, si è assistito alla principale ascesa di amministratori delegati, direttori e fondatori di origine indiana. Come Satya Nadella, oggi alla guida di Microsoft e nato a Hyderabad (come del resto Shantanu Narayen, ad di Adobe), oppure Sundar Pichai, cresciuto a Madurai e oggi residente in California, dove ha sede Alphabet. Indiana anche Aparna Chennapragada, appena nominata da Microsoft vice presidente con un preciso mandato sull’intelligenza artificiale generativa.
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di Cristina Kiran Piotti www.wired.it 2023-11-05 16:00:00 ,