Cosa potrebbe accadere ora con l’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro? Il rischio principale è che i due fenomeni sopra citati (scomparsa della classe media e scarsa redistribuzione della ricchezza) peggiorino anziché migliorare.
Se l’automazione del XX secolo ha colpito i colletti blu, ora con l’intelligenza artificiale si passa ai colletti bianchi. Sempre più mansioni da ufficio – e non necessariamente di “bassa manovalanza” come nel caso di avvocati, notai, giornalisti, commercialisti e anche programmatori (ci sono già software che scrivono software) – saranno più semplici. Dove “più semplici” non è detto che sia un vantaggio. Anzi. In una banale logica di libero mercato, infatti, più un lavoro è raro e difficile (in termini di competenze), più viene retribuito. Se invece l’intelligenza artificiale consentirà a chiunque di acquisire competenze dando un comando a un computer, anche i lavori ben retribuiti inizieranno a vedere una flessione dal punto di vista salariale o del potere d’acquisto.
David Autor è un professore ed economista del Mit di Boston: “Sono preoccupato per il cambio di composizione nei posti di lavoro”, ha dichiarato al quotidiano britannico The Guardian. “C’è il rischio che l’intelligenza artificiale elimini alcuni lavori o ne dequalifichi altri della classe media, generando lavori meno remunerativi. Il pericolo insomma è: l’intelligenza artificiale ridurrà il valore di molte competenze e renderà il lavoro più mercificato?”, si chiede Autor. Mark Muro, Senior Fellow della no-profit Brookings, dice inoltre che “il rischio è che i lavoratori altamente qualificati siano vulnerabili all’IA tanto quanto le loro controparti meno qualificate”. E prima di morire due mesi fa anche William Spriggs, professore alla Howard University e capo economista alla American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations aveva affermato: “Se rendi i lavoratori più produttivi, i lavoratori dovrebbero incassare di più. Le aziende invece non vogliono avere una vera discussione sulla condivisione dei vantaggi di queste tecnologie”.
Il punto è infatti proprio questo. L’intelligenza artificiale viene e verrà usata principalmente per aumentare la produttività delle imprese. Aumentano i ricavi, calano i costi in proporzione e salgono i profitti. Ma a vantaggio di chi? Uno studio della no-profit statunitense National Bureau of Economic Research dice che “non dobbiamo aspettarci aumenti salariali commisurati alla crescita della produttività”. E una ricerca di un gruppo di consulenti della abitazione Bianca prevede senza troppo difficoltà che “le maggiori entrate andranno agli azionisti e non agli stipendi dei magazzinieri”.
Per questo Lawrence Katz, economista della Harvard University, sostiene che una delle possibili soluzioni (forse l’unica insieme alla riduzione del tempo di lavoro a parità di salario) è quella che le aziende che aumenteranno la loro produttività grazie all’intelligenza artificiale condividano con tutti i lavoratori i relativi benefici economici.
Un altro rischio dell’intelligenza artificiale sul lavoro è la progressiva precarizzazione. L’Ai, infatti, diminuisce drasticamente il tempo con cui riusciamo a svolgere alcuni compiti. Nel breve-medio termine, quindi, molte imprese potrebbero decidere di ridurre il loro personale interno a favore di contratti esterni. Outsourcing, insomma. E peraltro con compensi variabili decisi a seconda dello stato di salute del mercato in questione. Esistono già dei test e ironicamente (si fa per dire) sono proprio gli algoritmi basati su intelligenza artificiale a gestire la modifica della remunerazione.
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di Federico Ferrazza www.wired.it 2023-08-02 15:02:11 ,