di Luigi Mastrodonato
Quella dei due cittadini britannici non è l’unica storia che associa le parole tortura e abusi ad Ahmed Nasser al-Raisi. La vicenda forse più nota a livello internazionale è quella di Ahmed Mansoor, attivista per i diritti umani arrestato prima nel 2011 e poi di nuovo nel 2017 per “offesa allo status e al prestigio degli Emirati Arabi Uniti e dei suoi simboli, compresi i suoi leader“.
L’uomo tramite un blog e i social network denunciava le violazioni dei diritti umani nel paese, aveva firmato diversi appelli per riforme politiche e negli ultimi anni ha ricevuto molti premi internazionali per il suo attivismo che non ha potuto ritirare prima a causa del ritiro del passaporto, poi perché sta scontando una condanna di dieci anni di carcere. Gli attori internazionali governativi e non governativi non hanno mai perso di vista questa storia, lo scorso settembre il parlamento dell’Unione europea ha approvato l’ennesima risoluzione di condanna agli Emirati. Il Gulf Centre for Human Rights ha presentato invece una denuncia in Francia proprio contro il nuovo presidente dell’Interpol, accusandolo di “atti di tortura e barbarie” nel caso Mansoor.
Ma al di là di questi singoli casi su cui vi sono denunce concrete, la situazione per i diritti umani nel paese appare critica nel suo complesso. L’ultimo rapporto dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch parla di persone arrestate solo per aver esercitato i loro diritti di libera espressione, carceri in condizioni fatiscenti, ostacoli alle indagini degli ispettori internazionali. Un sistema tenuto in piedi e rafforzato giorno dopo giorno dalle autorità, dove ai posti più alti siede proprio l’ispettore generale del ministero degli Interni Ahmed Nasser al-Raisi.
Le critiche internazionali
Nell’ottobre 2020, quando è iniziata a circolare la notizia di una possibile candidatura di Ahmed Nasser al-Raisi alla presidenza dell’Interpol, 19 organizzazioni non governative hanno inviato una lettera all’allora presidente dell’organizzazione, Jürgen Stock, per esprimere preoccupazione al riguardo.
“Al Raisi fa parte di un apparato di sicurezza che continua a prendere di mira oppositori pacifici”, hanno scritto, definendo “antitetico alla missione e agli obiettivi dell’Interpol che l’organizzazione sia rappresentata da un individuo e da uno stato che sono stati ripetutamente responsabili di gravi violazioni dei diritti umani”. Tra i punti sollevati, anche quello del cybercrime. Ahmed Mansoor ma anche altri attivisti politici come Loujain al-Hathloul sono stati vittima nel corso degli anni di diversi cyber-attacchi comandati dal governo, parte di una più ampia operazione di sorveglianza dei critici interni e internazionali chiamata Project Raven. Le organizzazioni non governative hanno così sottolineato l’incoerenza della nomina di una delle figure di punta del ministero dell’Interno emiratino presso un’organizzazione internazionale, l’Interpol, che ha tra i suoi pilastri proprio la lotta al cybercrime.
Tra chi ha alzato la voce contro l’ispettore degli Emirati c’è anche la politica. Nel giugno scorso 35 parlamentari francesi hanno sottoposto al presidente Emmanuel Macron una lettera in cui gli chiedevano di opporsi all’eventuale nomina di al-Raisi alla presidenza dell’Interpol. I deputati e senatori hanno sottolineato che l’uomo “è direttamente responsabile delle forze di polizia del suo Paese, che operano nella quasi totale impunità”, e che ha avuto “un ruolo centrale nelle detenzioni arbitrarie e nelle violazioni subite da molti attivisti per i diritti umani”. Pochi giorni fa invece tre politici tedeschi, Kai Gehring (Verdi), Peter Heidt (Liberali) e Frank Schwabe (Socialdemocratici), hanno presentato un documento comune in cui mettono in guardia dalle pesanti conseguenze derivanti dalla nomina di al-Raisi, “in palese contraddizione con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e che metterebbe a repentaglio la reputazione internazionale dell’Interpol”.
Alle accuse generali relative ad abusi e torture si somma poi un altro elemento, quello dei finanziamenti. Un rapporto redatto da un ex pubblico ministero inglese, David Calvert-Smith, ha messo in luce la precipitazioni di risorse versate all’Interpol dagli Emirati Arabi Uniti a partire dal 2017, con il fine di aumentare la propria influenza nell’organizzazione cercando di far eleggere presidente proprio Ahmed Nasser al-Raisi. Come sottolinea il Guardian, solo quell’anno le donazioni emiratine sono ammontate a 54 milioni di dollari, contro i 68 milioni di dollari degli altri 194 paesi membri messi insieme.
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www.wired.it
2021-11-26 11:25:42