Il mondo del lavoro deve invece organizzarsi per far convivere generazioni anagraficamente molto lontane presenti nello stesso contesto, che sia un ufficio, un team, un terreno o una fabbrica. Il tasso di attività in un range tra i 25 e i 74 anni è infatti destinato a passare dal 60,3 al 64,5% entro 2050 e poi a fare un ulteriore balzo al 67,4% entro il 2070.
Sul lavoro siamo tutti uguali
La buona notizia da questo punto di vista è che “tutti hanno le stesse esigenze quando si parla di lavoro, non ci sono forti discrepanze legate all’età” spiega Annachiara Annino, partner di Lattanzio Kibs, azienda che si occupa di consulenza strategica per il settore pubblico e che opera nel mercato unitario. I suoi dati rivelano che le preoccupazioni finanziarie e il timore di isolamento sono ciò che spinge i profili più senior a restare a lungo attivi nel mondo del lavoro, anche se non soddisfatti. Oltre la metà vorrebbe poter fare da mentor e sfruttare la job rotation per trasferire conoscenze. “Quello che stupisce è che le loro priorità in ambito lavorativo sono esattamente le stesse di coloro che vi hanno a mala pena fatto ingresso” spiega Shruti Singh, senior economist sull’invecchiamento e le politiche sindacali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Singh parla di una disinformazione amplificata dai media che ingigantisce un gap generazionale inesistente in questo contesto. “Cambiano le circostanze ma non le priorità” aggiunge, e i numeri del report le danno ragione. Sia over 55 che under 55 attivi desiderano flessibilità, ambienti positivi e formazione continua. Con la velocità con qui l’innovazione avanza, infatti, reskilling e upskilling non sono più solo per chi si deve reinventare un mestiere a tarda età ma diventano una necessità per tutti. Soprattutto in ambito scientifico e tecnologico, ciò che si studia all’Università dopo 5 o 6 anni è già storia.
Restare in salute, anche mentale
Tanto sono complesse e urgenti le connessioni tra età e salute che molte influenzano le dinamiche occupazionali in ogni fascia di età. I problemi cronici preoccupano tutti e la loro gestione in ambito lavorativo anche. Anche per i non over 65 non si tratta di un’ansia immotivata o prematura. I dati del Centro Studi Iqvia presentati da Isabella Cecchini mostrano infatti “fattori di rischio ampiamente diffusi”, con un 70% della cittadinanza che soffre almeno di una condizione cronica e un’altrettanta percentuale di persone che ha uno stile di vita non sano a causa di fumo, sovrappeso, cattiva alimentazione e sedentarietà. “Di questi ultimi, molti hanno dai 34 ai 45 anni. Questa fascia di età sta invecchiando – commenta Cecchini – fortunatamente stanno aumentando la consapevolezza e la cultura della salute”. Ne deriva una mezzaluna aspirazione di informarsi che spinge molti a ricorrere al medico di base ma anche al web, “non in alternativa – precisa Cecchini – ma integrando le diverse fonti, comprese le farmacie che diventeranno sempre più digitali: sono un punto di riferimento sempre più importante soprattutto per situazioni croniche”.
Un’altra preoccupazione in crescita e trasversale riguarda la salute mentale. Il 92% dei cittadini la ritiene una priorità ma secondo i dati di IQVIA il 26% dei 18-24enni soffre di stati di ansia o depressione e oltre la metà dei 4,5 milioni di persone che nel 2023 ha assunto depressivi è over 55, e i due terzi di questi sono gentil sesso. “Manca una rete di assistenza e a ogni età emerge il forte desiderio di passare a una visione olistica della salute, in cui quella mentale venga considerata quanto quella fisica” spiega Cecchini.
Passare dall’anzianità alla longevità significa quindi aprire lo sguardo e includere, fasce di età più giovani, criticità finora trascurate e anche cittadini stranieri over 55, visto che dal 2002 al 2024 sono passati da 92,4 mila a 877 mila unità.