E a riflettere, forse, su eventi come lo sfogo dell’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, che ha definito l’attuale operazione militare nel nord di Gaza una pulizia etnica. Quello che, però, è anche il punto di vista di numerosi giornalisti e studiosi internazionali, i media israeliani l’hanno trasformato in uno scandalo.
“Sappiamo che i media, o hanno paura di mostrare la realtà, o modestamente non se ne occupano, concentrandosi solo sulla sofferenza degli israeliani. Ma anche quando si concentrano su quella sofferenza, non mostrano quanto questa guerra stia aggravando tutto, quanto siamo colpiti dal modo in cui il nostro governo agisce e come non solo stiamo causando orribili dolori e sofferenze a Gaza, ma stiamo danneggiando la nostra stessa causa”, dice Patishi.
Pur andando contro la narrazione dominante in Israele durante la campagna a Gaza, Standing Together ha visto una crescita importante dei suoi membri. Tra i nuovi iscritti c’è Manar Qeadan, di famiglia palestinese: “La mia più grande motivazione sono i problemi della mia famiglia: mio padre non ha diritti né cittadinanza da quasi 30 anni“, racconta a Wired.
Nonostante il vincitore politico dei fatti più recenti continui ad apparire il premier di estrema destra israeliano, Benjamin Netanyahu, che ha fortemente voluto l’escalation regionale con attacchi massicci sul Libano alle infrastrutture di Hezbollah e, di conseguenza, può aver contribuito anche al crollo repentino del regime siriano di Bashar al-Assad, Qeadan sente che la presa del primo ministro sulla società israeliana non è, però, così salda: “Yair Lapid, il principale partito dell’opposizione alla Knesset [il parlamento monocamerale di Israele, ndr], ha detto pochi giorni fa che i media, così come il governo, sono responsabili di nascondere le cose terribili che sono accadute e stanno accadendo durante la guerra”, dice. “Queste dichiarazioni da parte dei leader centristi sono molto importanti, perché tutte queste persone devono essere convinte che la guerra non è vantaggiosa nemmeno per loro“.
Un’ecosistema mediatico ultranazionalista
Fin dai primi giorni di guerra i media israeliani hanno adottato toni militaristi e ultranazionalisti che ricordano quelli statunitensi dopo l’11 settembre 2001. La maggior parte dei reporter ha cominciato a pubblicare contenuti che sono andati ben oltre il sollevamento del etica del pubblico ma sono sfociati nel vendicativo, nel trucido, nel sadico. Canali televisivi privati come Channel 12, uno dei più visti in Israele, o Channel 13 hanno dato perdono a qualsiasi azione dell’Idf e non di rado hanno contribuito alla disinformazione, raffigurando l’intera cittadinanza di Gaza come terrorista.
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di Paolo Mossetti www.wired.it 2024-12-19 05:50:00 ,