Le storie che stanno arrivando a Repubblica sono lo specchio di quanto ha detto oggi papa Francesco a proposito della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale: “I progressi della società non sono assicurati una volta per sempre”. Nei racconti che i lettori vogliono consegnare al giornale c’è l’Italia e c’è tutto il mondo, esperienze di mezzo secolo fa che testimoniano di un razzismo nazionale e diritti alla cittadinanza negati cartina di tornasole di una legislazione che non rispecchia il Paese reale.
La giornata contro il razzismo: “Cara Italia, ci siamo anche noi”
di
Claudia Brunetto
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Massimo Calandri
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Zita Dazzi
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Vladimiro Polchi
Francesco, siciliano di 77 anni, ricorda a tutti che noi italiani il razzismo e le discriminazioni le abbiamo vissute in prima persona, non soltanto quando emigravamo all’estero, ma anche quando ci spostavamo in cerca di lavoro da Sud a Nord: “Non importa andare molto lontano per raccontare del razzismo – scrive – vivo a firenze dal 1950 avevo 6 anni e non vi dico come venivamo trattati, anche a scuola dagli insegnanti, quelli che dovevano darci una educazione erano i primi a deriderci”. Riflessioni amare, come quella di Giovanni che osserva: “In passato la parola razzismo era sconosciuta. Preferivano usare il termine “campanilismo” che è la stessa cosa. Ricordo che nella mia Venezia venivi discriminato dagli abitanti di un altro Sestiere”. Arrivano, nell’Europa che dovrebbe essere la casa di tutti, le storie di chi si sente ancora discriminato in Germania, dove, dice, “per pregiudizi atavici noi siamo sempre mafiosi, abbiamo politici corrotti e governi che cambiano in continuazione, anche questo è razzismo”.
Youssouph Kaire, 60 anni spiega invece perché la cittadinanza è così difficile da ottenere: “Sono arrivato in italia, a Milano dal Senegal, 30 anni fa. Mi sono impegnato molto tanto che oggi ho un contratto a tempo indeterminato. Mi piace il mio lavoro e lo svolgo con inpegno e serietà. Nel 1995 ho sposato una donna italiana da cui ho avuto una splendida figlia che oggi ha 24 anni. Pago i contributi e le tasse in Italia da oltre 25 anni ma malgrado ciò mi è sempre stata negata la cittadinanza per una bravata che risale a 25 anni fa: guidavo l’auto della mia allora fidanzata con una patente senegale presa in prestito da un amico. Un reato per la legge italiana che non mi è stato mai condonato. Parlo perfettamente italiano, vivo da italiano, ho chiesto più volte la cittadinanza ma non c’è verso di ottenerla”.
Alberto denuncia il “razzismo burocratico: “Mio figlio ha 20 anni. Adottato a 4 dall’Etiopia e nonostante sia figlio mio e di mia moglie quindi italiano abbiamo scoperto che per molti anni è stato considerato burocraticamente come persona residente in Italia tramite permesso di soggiorno. Lo abbiamo scoperto perché l’ATS di pertinenza non lo aveva nemmeno convocato per gli obblighi vaccinali tranne i primissimi: ce ne siamo accorti perché a 16 anni avevamo deciso di sottoporlo a vaccino contro la meningite. Nessuno l’aveva più chiamato … “tanto è straniero” … e alla fine ci è toccato fargli fare 7 vaccini tutti in una volta”.
Francesco si autodenuncia: “Ero un razzista, uno quei sostenitori dell’identità italiana, identità da non corrompere mediante il contatto con altre culture. Poi, forse animato da uno strano sentimento filantropico, residuo di quelle teorie sociali di cui parlavo, ho iniziato a fare volontariato, ho servito alla Caritas ed alle mense dei poveri, ho iniziato a conoscere alcuni di loro. Ho constatato con mio grande stupore che in realtà la terra straniera è l’ultimo posto in cui un uomo vorrebbe vivere . Che chiunque sarebbe rimasto volentieri a casa propria se avesse avuto uno stipendio o una terra da lavorare. Sarebbe rimasto con la sua famiglia, con quella moglie che riesce a rivedere ogni 7-8 mesi o più, e con quei figli che vede solo via Skype la sera”.
Ci sono, come spesso accade in Italia, le soluzioni trovate da sé. Amilcar scrive: “La mia fidanzata ha 36 anni e ha la residenza in Italia da 20 anni, per legge non può richiedere la cittadinanza perché per farlo ha bisogno del reddito minimo personale o familiare, non riuscendo mai ad arrivare a tale reddito minimo non può avere neanche la cittadinanza. Il problema lo risolveremo a breve perché ci sposeremo, ma ci avrà messo 21 anni per avere la cittadinanza”.
Anastasia è russa, ma ci racconta in inglese: “Vivo a Milano da sette anni, sono sposata, ho due figli e sono in attesa del terzo. Tra poco dovrei avere la cittadinanza. Sperimentato il razzismo ogni giorno in Italia e questo mi rattrista moltissimo. Qui non importa se hai torto o ragione, se esponi un tuo pensiero la risposta è “Tornatene al tuo Paese”. Ho vissuto in Gran Bretagna e Stati Uniti, lì non mi è mai successa una cosa simile”.