Come volevasi dimostrare, la cosiddetta «Netflix della cultura italiana» – però chiamata in inglese Itsart – è partita appena il governo ha riaperto cinema, arene e teatri. Al momento non è nient’altro che una piattaforma a pagamento con un catalogo modesto e con prezzi esosi.
Gli italiani neanche se ne sono accorti. E pure il ministro Dario Franceschini, che ci ha investito 10 milioni di euro pubblici e una campagna mediatica, si entusiasma compitamente. Alla fine, come per l’appunto volevasi dimostrare, l’unico affare è per gli azionisti privati di Chili, altra piattaforma perlopiù di prodotti americani, soprattutto film e serie tv.
Il governo giallorosso, lo scorso autunno, propose la brillante idea a Cassa depositi e prestiti (Cdp) dell’ormai ex amministratore delegato Fabrizio Palermo. A scadenza di mandato, e giustamente preoccupato, difatti Mario Draghi l’ha sostituito con Dario Scannapieco, Palermo si convinse presto e aderì al progetto di Franceschini garantendo la proprietà di Itsart a Cdp, e dunque allo Stato, assieme a un azionista privato di minoranza. Dopo una selezione non molto affollata, Cdp scelse Chili che ha un doppio primato nel mercato italiano: ha ampliato la diffusione del cinema su internet e ha registrato otto bilanci di fila in perdita.
Come riportato nell’atto di costituzione di Itsart, Cdp ha partecipato con 6,25 milioni di euro di cui 510.000 per il 51 per cento del capitale e il resto in sovrapprezzo per il lancio. A Chili era riservato il 49 per cento con un esborso totale di 6 milioni, ma non ha sganciato un euro. Perché ha conferito la sua piattaforma tecnologica che poi è diventata la piattaforma tecnologia di Itsart dopo una stima esattamente di 6 milioni di euro. Il valore l’ha stabilito una perizia presentata da Chili e svolta da una società romana, di non gigantesche dimensioni, che ha dichiarato ricavi per 71.000 euro nel 2019 e 38.000 nel 2018. Il primo cliente di Itsart, che ha l’amministratore delegato Giano Biagini espressione di Chili, è ancora e sempre Chili, che garantisce la manutenzione ordinaria e straordinaria alla preziosa piattaforma. A gennaio, però, complice un aumento di capitale di 2 milioni di euro, Chili ha coperto la sua quota di un milione. Uno sforzo abbastanza accettabile dopo questa serie di eventi favorevoli.
In attesa di promuovere gli artisti italiani che si dovrebbero caricare il rischio di impresa se vogliono apparire su Itsart, poiché la piattaforma offre soltanto la distribuzione, per adesso vengono proposti film che su Chili si trovano a prezzi più convenienti o addirittura documentari – come quello su Federico Fellini – che su Raiplay sono gratuiti. Itsart fa sapere che no, il confronto con Chili non è adeguato perché le licenze sono differenti. E no, neanche con la Rai vale, perché la Rai ci infila la pubblicità. Mica scherzi. Cara, molto cara per il contribuente, che paga qua e ripaga là. Però vuoi mettere la soddisfazione. Questa è la «Netflix della cultura italiana».