A rischiarare tutto per fortuna c’è Donnie Yen, grandissimo performer del cinema d’arti marziali cinese, atleta eccezionale e corpo espressivo, la massima espressione contemporanea della recitazione attraverso le arti marziali. Il confronto con tutti gli altri è impietoso (e dire che ci sono ottimi marzialisti in parti marginali come Scott Adkins). Donnie Yen non solo è più armonico e rapido nei movimenti rispetto a quelli che gli sono intorno, soprattutto è più sorprendente nelle coreografie, cioè in quello che fa e come lo fa. Lui è l’amico ma anche rivale di John Wick (un classico del cinema di Hong Kong, il doppio negativo del protagonista con il quale c’è una relazione profonda e solo con la sua presenza rende possibile le sequenze migliori, perché nessun altro potrebbe eseguirle. Con il suo personaggio del classico cieco che mena, fa molto di più di quanto tutti gli altri facciano con i loro caratteri solo in teoria originali.
E per un film che mira esplicitamente a stupire di continuo con la sua azione, senza riuscirci quanto vorrebbe, è una benedizione che ci sia qualcuno che è in grado di farlo anche con i movimenti più semplici, con l’armonia di Fred Astaire unita all’espressività di Jackie Chan. Un film tutto sul suo personaggio sarebbe molto più interessante da seguire che quattro film su quello di Keanu Reeves, del quale anche a fine parabola non abbiamo capito granché e non è che ci interessi più di tanto che fine faccia.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2023-03-23 05:20:00 ,