La storia della favorita del Re Luigi XV è una di quelle storie che merita di essere raccontata. Lo fa bene in Jeanne du Barry la francese Maïwenn, attrice e regista al suo sesto lungometraggio, che sceglie di portarla personalemente sullo schermo, firmando una storia insieme drammatica, romantica e di emancipazione femminile. Al centro c’è lei stessa nei panni di Jeanne, cortigiana di umili origini che utilizza le armi della seduzione per la sua scalata sociale. Arriva fino al letto del re e da quel momento la sua vita non è più la stessa. Non solo perché conosce i lussi della vita privilegiata di corte, in cui tutto è permesso, ma perché si innamora giorno per giorno di un uomo dolce e autoironico che la ricambia.
È una storia di riscatto e di amore quella che il Festival di Cannes ha scelto come apertura della sua 76a edizione, ma anche l’interessante parabola di una outsider che può contare solo sulla propria forza e intraprendenza. Sola contro tutti sin da ragazza, perché giudicata troppo libera e di “facili costumi”, si ritroverà sola e altrettanto invidiata a corte, mentre i giudizi si amplificheranno su di lei fino a bollarla come “peccato capitale vivente”. Da brava outsider prosegue la sua vita trasgredendo fiera le rigide regole di corte, bacia il re davanti a tutti, si veste da uomo, rifiuta di indossare la parrucca, è decisa a istruirsi e a crescere Zamor, bambino nero di cui il re le fa dono. Maiwen firma un’interpretazione interessante, con una regia elegante che sa farsi maestosa, e insiste nel ritrarre una donna moderna e profondamente libera di essere e amare chiunque voglia.
È un sovrano molto umano, quello a cui dà vita Johnny Depp in Jeanne du Barry, in un ruolo che segna il suo ritorno sul grande schermo dopo le beghe legali, anche se a Cannes lui dice: “Voi lo chiamate ritorno, ma io non ero andato da nessuna parte”. Il suo personaggio, divertito dall’irriverenza di Jeanne, la sceglie come Favorita perché rappresenta una fuga vivente dalle rigide quanto buffe routine di corte. Quanto a Depp, si diverte a sua volta a interpretarlo e si presta a mostrarsi un po’ in tutti i modi: con la parrucca tradizionale e con i capelli arruffati, con il volto colmo di tenerezza e, verso il finale, ricoperto di pustole. Non è la performance della sua vita, eppure dà prova di una ritrovata lucidità, lontana dalla nebulosa espressiva degli ultimi anni e anche dalle smorfie forzate e macchiettistiche che pure hanno fatto la gloria di certi suoi personaggi come Capitan Sparrow. Spicca il coraggio di Maiwen nell’averlo scelto come protagonista maschile e in generale nell’essersi cimentata in un’opera del genere, firmando un film in costume sul binomio tra piacere e libertà, autonomia di pensiero e ribellione allo status quo, per nulla datato, ma anzi moderno senza essere anacronistico. In due parole, senza tempo.
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di Claudia Catalli www.wired.it 2023-05-17 12:12:42 ,