Just Eat, multinazionale anglo-danese fondata nel 2001 e presente in Italia dal 2011, ha comunicato la decisione di ridimensionare la propria sede di Milano. L’azienda, che gestisce una delle principali piattaforme di food delivery in Italia con migliaia di ristoranti partner e rider, ha una presenza capillare nelle principali città italiane e conta nella sede milanese oltre 200 dipendenti dedicati principalmente all’assistenza clienti, alla gestione operativa e alle funzioni amministrative.
Il piano di ristrutturazione prevede il taglio di circa 50 posti di lavoro, che colpirà principalmente il comparto dell’assistenza clienti. Si tratta di una riduzione significativa che rappresenta quasi il 25% della forza lavoro totale impiegata nella sede del capoluogo lombardo, come riportato in una nota congiunta dei sindacati Filcams, Fisascat e Uiltucs. Nella comunicazione ufficiale, Just Eat ha motivato la decisione con la necessità di trovare “costi di produzione più bassi e flessibilità oraria maggiormente aderente al modello di business“, indicando chiaramente l’intenzione di delocalizzare le attività in paesi con un costo del lavoro insufficiente.
Il settore delle consegne a domicilio in Italia è ancora in fase di sviluppo rispetto ad altri paesi europei. Secondo i dati più recenti della School of Management del Politecnico di Milano, il food&grocery rappresenta il 10% del totale dell’e-commerce italiano, per un valore complessivo di 4 miliardi di euro. Di questi, 1,5 miliardi sono generati tipicamente dal food delivery. Just Eat opera in un mercato ancora immaturo: solo il 5% degli italiani utilizza l’app per ordinare cibo a domicilio, contro il 40% registrato in altri paesi dove l’azienda è presente. Un divario che secondo gli esperti del settore è dovuto anche alla scarsa confidenza con i pagamenti digitali e alla particolare conformazione del territorio italiano, caratterizzato da numerosi piccoli comuni densamente abitati.
Le reazioni sindacali
La scelta dell’azienda è stata fortemente contestata dai sindacati, definendola nelle loro comunicazioni una “delocalizzazione inaccettabile che sfrutterà retribuzioni più basse e meno diritti, creando un grave dumping tra lavoratrici e lavoratori”. La decisione appare ancora più sorprendente considerando che Just Eat, solo nel 2021, aveva assunto 6.000 rider con contratto subordinato, prima azienda del settore a farlo in accordo con i sindacati.
Il dumping sociale è una pratica che consiste nel trasferire attività produttive o servizi in paesi dove il costo del lavoro e le tutele sono inferiori, permettendo alle aziende di ridurre significativamente le spese operative. Just Eat ha esplicitamente parlato di analisi di “costi di produzione più bassi e flessibilità oraria maggiormente aderente al modello di business”, come riportato dalla Cgil nel suo comunicato.
Le organizzazioni sindacali hanno già avviato le procedure per contrastare i licenziamenti. Filcams, Fisascat e Uiltucs stanno preparando una mobilitazione su più fronti, con l’obiettivo di ridurre l’impatto sui lavoratori. “Nelle prossime ore verranno messe in campo tutte le azioni possibili in tutte le sedi che si riterranno opportune”, hanno dichiarato i rappresentanti sindacali.