La Serbia è guidata dal presidente populista Aleksandar Vucic, ministro dell’informazione durante la guerra in Kosovo di ventiquattro anni fa. Il nazionalista filorusso è alle prese con un grande malcontento interno: a maggio si sono registrate due inaudite sparatorie di massa di tipo “americano”, delle quali una in una scuola primaria di Belgrado, dove sono decessi 8 bambini. La generale ondata di dolore e shock ha prodotto un’imponente sfilata dell’opposizione in piazza.
A novembre, tensioni simili riguardanti la circolazione dei serbi con targa serba in Kosovo, erano state sgonfiate grazie a un comunicato congiunto Ue-Usa che di fatto accoglieva una richiesta-chiave di Belgrado: garantire l’immunità ai serbi del Kosovo che avevano eretto le barricate. Una caratteristica tipica delle crisi cicliche tra Serbia e Kosovo è la velocità con cui montano e scemano, ma non bisogna dare per scontato nulla.
Come uscire dalla crisi?
Alla base dell’ultima escalation c’è l’aver messo la questione del nord del Kosovo sotto il tappeto, lasciandola irrisolta. Eppure, nel comunicato congiunto diramato mesi fa, Bruxelles e Washington raccomandavano che “tutte le disposizioni del Dialogo siano applicate senza indugio“. Il riferimento era al Dialogo politico formale tra Pristina e Belgrado, e in particolare all’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe, entità prevista dagli Accordi di Bruxelles del 2013 ma mai realmente creata, e che potrebbe portare alla normalizzazione dei rapporti tanto agognata.
Si tratta, come ricorda l’esperto dell’Ispi Giorgio Fruscione, “di un’entità politico-amministrativa che dovrebbe riunire e rappresentare i Comuni a maggioranza serba del nord del Kosovo, dando loro legittimazione, consentendogli di eleggere i propri rappresentanti”. Sinora le autorità di Pristina ne hanno bloccato di fatto l’istituzione, prevista dagli Accordi del 2013, per paura che l’Associazione possa tramutarsi col tempo in uno “Stato nello Stato” – sul modello della repubblica serba di Bosnia-Erzegovina – e preludere ad una secessione.
Ma gli Stati Uniti e l’Ue per ora sconfessano questa tesi, dice Fruscione. Una concessione diplomatica a un Paese scontroso nel mezzo dell’Europa, la Serbia, in cambio dell’impegno ad un accordo di più ampio respiro nei prossimi mesi: come, ad esempio, il riconoscimento dell’indipendenza da parte nazioni dell’Ue che ora sono recalcitrati, tra le quali la Spagna, per evitare ulteriori degenerazioni mentre incombe già la guerra in Ucraina.
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di Paolo Mossetti www.wired.it 2023-05-30 11:15:10 ,