AGI – Si sta trasformando in un caso politico la disputa tra H&M e i consumatori cinesi. Negli ultimi mesi il famoso brand svedese ha registrato un colpo nelle vendite nel paese del Dragone: questo perché è in atto un vero e proprio boicottaggio dei marchi di abbigliamento stranieri promosso dal governo e dai media di Stato per via di una vecchia dichiarazione ufficiale dell’azienda su presunti abusi dei diritti umani nella regione occidentale dello Xinjiang del paese.
Un alto prezzo
I giornali e le tv stanno invitando le persone a non comprare più da H&M, gli acquisti dai negozi online sono stati impediti in vari modi e alcune celebrità cinesi hanno interrotto i loro accordi di sponsorizzazione col brand. Il risultato è che le sue vendite sono calate del 28% nei tre mesi con fine a luglio e su base annua.
Non solo, il trend sembra rafforzarsi. H&M, con sede a Stoccolma, che conta la Cina come uno dei suoi più grandi mercati per le vendite – rappresentando il 5% del fatturato l’anno scorso – è stata particolarmente colpita da questo tipo di rappresaglia. L’azienda è stata cancellata dalla piattaforma di e-commerce Tmall e le posizioni dei suoi negozi dalle mappe dei telefoni cellulari in Cina, mentre la sua app è sparita dagli app store locali.
Le accuse allo Xinjiang
Alcuni ricercatori e parlamentari stranieri sostengono che le autorità dello Xinjiang stanno facendo ricorso a programmi di lavoro coercitivo per soddisfare le esigenze stagionali di raccolta del cotone, cosa che la Cina nega con forza.
La disputa risale al 2007: nel mese di aprile, il gigante svedese del retail apre il suo primo negozio nella Cina continentale, a Shanghai. Alla fine di febbraio 2021, contava 502 negozi nel paese.
Nel 2016, iniziano ad affiorare i dati di alcuni rapporti che denunciano abusi dei diritti umani nello Xinjiang e due anni dopo, nell’agosto 2018, un panel delle Nazioni Unite per i diritti umani riferisce di aver ricevuto indiscrezioni riguardo al fatto che 1 milione di Uiguri etnici sono tenuti in quello che assomiglia a un “massiccio campo di internamento cavvolto nella segretezza”.
Ma la Cina respinge le accuse e ammette solo che alcune persone sono state sottoposte a “rieducazione” dopo essere state ingannate dagli estremisti. Nel 2019, un rapporto del Wall Street Journal cita H&M tra le aziende le cui catene di approvvigionamento includono filati provenienti dallo Xinjiang. Ad agosto, la Better Cotton Initiative (BCI), sostiene che sta temporaneamente sospendendo le licenze nello Xinjiang perche’ teme che si verifichino ‘casi’ di lavoro forzato.
La dichiarazione di H&M
Nello scorso mese di settembre, H&M rilascia una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per i rapporti sul lavoro forzato, dicendo peraltro che non lavora con nessuna fabbrica nello Xinjiang. Inoltre, l’azienda assicura che i suoi produttori non impiegano lavoratori dello Xinjiang attraverso programmi di trasferimento di manodopera, e non si rifornisce piu’ di cotone dalla regione in quanto si affida a fattorie con licenza BCI per il suo approvvigionamento senza includere produttori nello Xinjiang.
A marzo, i consumatori cinesi e gli utenti dei social media, tra cui la Lega Centrale della Gioventu’ Comunista, puntano il dito contro H&M, accusandola di diffamare la Cina e chiedendo il boicottaggio. Lo stesso giorno, le ricerche di H&M sulle piattaforme di e-commerce cinesi vengono bloccate.Le misure di boicottaggio si estende ad altri marchi tra cui Nike, Adidas, Uniqlo, Hugo Boss e Burberry, ma H&M porta il peso delle critiche.
A fine mese, il CEO di H&M riferisce che circa 20 negozi sono stati chiusi in Cina. Ma e’ di oggi la notizia che riporta un calo del 28% anno su anno, nelle vendite in Cina nei tre mesi fino a maggio. Il marchio H&M continua a restare fuori da Tmall e dagli app store dei produttori di cellulari cinesi, e H&M dice ad analisti e giornalisti che la situazione in Cina rimane “complessa”.(AGI)Pit