I mercati hanno fretta, la Fed un po’ meno. Le condizioni dell’economia statunitense, malgrado un bilancio vaccinale non ancora ottimale, permettono già di guardare ai prossimi rialzi dei tassi, e i mercati puntano a una piccola stretta già a giugno, con almeno due altri piccoli rialzi prima della fine del 2022. La riunione di ottobre del Comitato di politica monetaria, il Fomc – oltre a varare, probabilmente, il tapering, il piano di riduzione degli acquisti di titoli pandemici – permetterà di capire che, con tutta probabilità, gli investitori corrono troppo.
Quando il primo rialzo dei tassi?
I “dots” – i puntini che riflettono, nel grafico pubblicato ogni tre mesi, le intenzioni dei singoli governatori sul costo del credito – puntavano a settembre a un solo rialzo, allo 0,25-0,50%, l’anno prossimo (con qualche incertezza) e a due-tre ritocchi nel 2022, quando il costo del credito ufficiale potrebbe raggiungere l’un % (la mediana delle proiezioni. Sono indicazioni non vincolanti, frutto della mera aggregazione di diciotto previsioni diverse, e saranno in ogni caso aggiornate a dicembre. In questa occasione, si potrà soltanto capire come la Fed interpreta l’andamento dell’economia.
La frenata del Pil
Qualcosa è infatti cambiato. Il prodotto interno lordo del terzo trimestre è apparso in rallentamento rispetto ai mesi precedenti. Non inganni il mero confronto tra le velocità del rimbalzo: l’economia statunitense ha già superato il livello pre-pandemia, e si è riportato in linea con la tendenza di lungo periodo. In un certo senso, si potrebbe pensare – e sarà interessate capire se la Fed condivide questa ipotesi – che l’aattività economica sia tornata alla normalità.
Occupati in ritardo
È tempo di normalizzare anche i tassi, allora? Hanno ragione i mercati? Non è detto. La Fed non guarda al pil, se non in maniera indiretta: guarda all’occupazione, che è esplicitamente citata nel suo mandato. Vista da questo punto di vista, non si può dire che l’economia Usa sia tornata alla normalità, e tantomeno ai livelli prepandemici. Quasi cinque milioni di posti di lavoro mancano all’appello, e se si ricorda l’attenzione che il presidente Jerome Powell dedica ai molti aspetti del mercato del lavoro, alla diseguale distribuzione nelle diverse comunità razziali, si comprende che la Fed non è ancora del tutto soddisfatta del rimbalzo. È aumentata la produttività, quindi – ottima cosa, ovviamente – ma l’occupazione è in ritardo.
La fiammata dell’inflazione
L’inflazione, ovviamente, preoccupa un po’ di più. Generata come sembra– ma vanno ricordate le polemiche di chi critica doppio stimolo fiscale e monetario – dalle strozzature sul lato dell’offerta, non dovrebbe preoccupare la banca centrale, a meno che non si riversi anche sulle aspettative. Gli ultimi dati dell’indice Pce indicano prezzi in aumento del 4,4% con una core inflation al 3,6%: i rialzi sono quindi più generalizzati rispetto a quanto avviene durante un rincaro energetico e potrebbe quindi alterare le attese.