Tassi fermi, con tre tagli confermati nel 2024. I mercati hanno ben reagito alla decisione ma la Federal reserve, nella riunione di marzo, ha però confermato che l’inflazione è leggermente più resiliente di quanto finora previsto. In concreto, i “dots” hanno solo indicato un taglio in meno, da 25 punti base, per il 2025, in parte forse legato all’idea che l’economia degli Usa ha mostrato qualche mutamento strutturale (anche se le previsioni di lungo periodo non sono state toccate). Nel corso della riunione si è anche discusso dell’opportunità di rallentare il ritmo di riduzione del portafoglio titoli, senza prendere decisioni; anche se l’orientamento sembra essere quello di dover intervenire in questo senso «abbastanza presto».
I tassi sui Fed Funds restano dunque al 5,25%-5,50%, livello a cui sono stati portati nel luglio dello scorso anno, il più alto dal 2001. I governatori sembrano però aver assunto un orientamento lievemente più restrittivo: è questo che emerge dai “dots” – i punti con cui annunciano le singole previsioni sull’andamento dei tassi – sembrano confermare nell’aggregato i tagli previsti per quest’anno, fino al 4,5-4,75%, mentre per l’anno prossimo si punta al 3,75-4% e non più al 3,5%-3,75%. Analogamente per il 2026 ora i governatori, nella mediana delle loro indicazioni, sembrano avere come obiettivo il 3-3,25% e non più il 2,75%-3%. In definitiva si tratta di un taglio in meno nell’orizzonte temporale delle proiezioni.
Queste nuove indicazioni nascono anche da un “obiettivo implicito” di lungo periodo leggermente più elevato: dopo essere rimasto al 2,5% da giugno 2019, è ora leggermente ritoccato al 2,5%-2,75%. È il segno, molto probabilmente, che un numero sufficiente di governatori ritiene che l’economia Usa abbia subito mutamenti strutturali tali da modificare, sia pure leggermente, il tasso di equilibrio. Nel 2011, le indicazioni di lungo periodo puntavano ancora al 4%.
Le proiezioni macroeconomiche di marzo non indicano però variazioni sostanziali nei valori di lungo periodo: 1,8% per la crescita, 2% per l’inflazione, 4,1% per l’occupazione. Cambiano però alcune indicazioni nell’orizzonte temporale della politica monetaria. Per il 2024 si indica una crescita del 2,1%, contro l’1,4 delle stime di dicembre, per il 2025 e per il 2026 del 2% (contro, rispettivamente, l’1,8% e il 2%). Più lento però il ritorno dell’inflazione all’obiettivo, almeno quest’anno: è prevista al 2,4% nel 2024 (invariata), al 2,2% nel 2025 (dal 2,1%) e al 2% nel 2026. La core inflation, che negli Usa è anche più rilevante che altrove, è indicata al 2,6% quest’anno (dal 2,4% indicato a dicembre), ma al 2,2% nel 2025 e al 2% nel 2026 (invariata).
«L’inflazione è ancora troppo alta e i progressi nel portarla verso il basso non sono garantiti», ha detto il presidente Jerome Powell in apertura della conferenza stampa; anche se, ha aggiunto, la crescita dei salari ha rallentato e lo squilibrio tra domanda e offerta si è ridotto e promette di migliorare ancora. «Crediamo che il nostro tasso di politica monetaria sia verosimilmente ai suoi massimi», ha poi aggiunto, e «se l’economia evolve come è atteso, sarà appropriato» tagliare i tassi quest’anno. In ogni caso la Fed «resta molto attenta ai rischi di inflazione: siamo preparati a mantenere l’attuale range (dei tassi, ndr) per un periodo più lungo se necessario».