AGI – In dieci minuti il Danubio può essere guerra o pace: il tempo che serve ai fuggitivi per navigare dalla sponda sinistra ucraina a quella destra rumena. Alle cinque del pomeriggio sono già in 1400 a essere saliti sulla chiatta rossa che li porta al riparo nella piccola Isaccea sul cui molo sventolano alte e appaiate le bandiere dei due Paesi più quelle europea e della Nato.
Colpiscono, tra mamme con bambini e anziani, sei ragazze in cerchio. Parla Sasha, 27 anni, attrice. “Siamo amiche e abbiamo deciso di farci forza per salvarci insieme. Veniamo da Odessa dove in questo momento la situazione è abbastanza tranquilla ma ogni giorno diventa sempre più pericolosa. Sentivamo gli spari e le esplosioni sempre più vicini a noi”.
“Il picco massimo di arrivi è stato sabato quando ne abbiamo registrati 4000 – spiega all’AGI il portavoce dei Pompieri, i protagonisti dell’accoglienza romena al confine -. Fino a pochi giorni fa erano qualche centinaio al giorno. Ora arrivano in migliaia di giorno e di notte, conn sbarchi ogni due – tre ore, e non sono di più solo perché la capienza del traghetto è limitata. La maggioranza viene da Odessa”.
Aggiunge un’osservazione che suona surreale: “Non sono rifugiati, la maggior parte di loro ha scritto sul permesso temporaneo che attraversano il fiume per ‘turismo’. Per diventare rifugiati occorre che facciano una richiesta e dei passaggi burocratici”.
Il giovane Aleksandro spinge la carrozzina della mamma disabile Victoria di 48 anni che stringe in grembo una gabbietta per animali. Nonostante tutto, sorridono entrambi: “La situazione a Odessa è pessima – afferma lui -. Andremo a stare in un appartamento a Bucarest in attesa di trovare un posto più adatto a noi”.
Alcuni vengono dalla zona di Iztmail, nelle ultime ore diventata scenario di combattimenti, a un centinaio di chilometri da qui.
Dopo il passaggio nel capannone arancione di primo ristoro, dove vengono regalate anche delle schede telefoniche, e il controllo dei documenti alla dogana, lo sciame di persone si divide. Chi ha le idee chiare s’infila nella cinque tende blu su cui sono indicati i nomi di altrettante città rumene verso cui sanno di voler dirigersi, gli altri vengono spediti in un tendone che si gonfia a dismisura dove è possibile stendersi sui letti per un po’ di riposo o per la notte. In pochi ci restano, gli altri finiscono nel palazzetto sportivo di Isaccea, già centro vaccinale, dove il Comune e i volontari hanno steso dei materassi. La palestra è zeppa di sacchi con cibo e farmaci donati da tutto il mondo.
Troviamo Israt che parla italiano. “Sto facendo il servizio di volontariato europeo che è una cosa che molti della mia età fanno. Non avrei mai passato di venire qui ad aiutare i profughi che vengono in Romania. Quando il presidente dell’associazione ha visto che c’era bisogno di aiuto ha deciso di farmi restare a dare una mano nel lavoro che serve al confine. I miei genitori, che vivono a Schio, in Veneto, sono spaventati ma sento che il mio posto è qui, dove c’è tanta fratellanza e umanità e sento il cuore dell’Europa. Se l’Ucraina ne facesse parte, Putin non si sarebbe permesso di invadere il Paese”. Tra i volontari, alcune assistenti sociali che dopo il lavoro in Comune vengono qui.
C’è anche una psicologa: “I più provati sono gli anziani, mentre le persone giovani sembrano più fiduciose e positive”.
Anche Sasha e le sue amiche, dirette a Bucarest per ora, pensano al futuro: “Spero che questa rappresenti una nuova partenza per l’Ucraina – è l’augurio della giovane attrice – L’Ucraina è bella e forte, il valore che fino a questo momento si è dato questo Paese è troppo basso. È il momento di alzarlo. Il governo deve portare la nostra voce nel mondo e far capire quanto siamo belli e forti. Sarebbe giusto che gli altri Stati chiudessero lo spazio aereo, sarebbe fantastico se l’Europa fosse davvero una famiglia”.
Il simbolo dell’8 marzo in Ucraina, regalo tradizionale per le donne, è un braccialetto rosso e bianco, che rimanda al “sangue e alla neve”. Queste sei ragazze ora vogliono altro.