La nuova “bestia” di Matteo Salvini sarà un centro studi. Non più la controversa macchina per la propaganda che fu il regno di Luca Morisi, amplificatore distorto di felpe, rosari, ruspe, migranti, barconi, ong rosse, ma un gruppo di ricercatori, consulenti, analisti, i cosiddetti esperti, gente non improvvisata, ingaggiati per raddrizzare la Lega. Nessun politico, né attivo, né fermo e neppure pensionato. Tocca ai «professoroni», per citare il vecchio Matteo. Ogni epoca si chiude con la sua nemesi.
Il centro studi serve a dare sostanza a una linea politica che è un ghirigori ormai insostenibile per più di mezza Lega, più di un ministro Giancarlo Giorgetti, più di un presidente di regione. Così Salvini vara una sorta di suo “comitato tecnico scientifico” per dirimere questioni che non ha saputo dirimere mai e per avere strumenti oltre che meme di Instagram.
Il centro studi è la conferma di un conflitto interiore che attanaglia Salvini da quando il consenso s’è fatto fragile e la permanenza nel governo Draghi s’è fatta dubbiosa. È un modo per aprirsi al dialogo, ma anche per dotarsi di mezzi per affrontarlo nel partito oggi più antico e ancora impostato su un modello stalinista: «Ascolto tutti e decido io». Il capo ne ha accennato di recente ai parlamentari e aspetta dicembre per gli annunci ufficiali. Vanno create le strutture: come incastrare il centro studi nel partito, con una fondazione, con un’associazione, chissà, ci si ragiona. Vanno reperite le risorse: fondi parlamentari o finanziamenti privati, bel dilemma.
Salvini ha bisogno del centro studi per legittimare sé stesso. Un tempo gli bastava una fotografia satellitare di uno scafista per imporsi nel dibattito pubblico, occupare le televisioni compiacenti e poi scalare i sondaggi. Adesso deve sforzarsi di più. O si inventa qualcosa di inedito che un po’ lo riscrive e lo corregge o va a dimora a rimettere ordine al guardaroba.
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di Carlo Tecce
espresso.repubblica.it
2021-11-05 15:05:00 ,