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A poco meno di una settimana dalla strage nella scuola elementare di Uvalde, in Texas, il dibattito sulla necessità o meno di approvare norme più stringenti sul possesso di armi da fuoco è stato affiancato da una discussione su come la polizia di Uvalde abbia gestito la sparatoria. Nonostante decine di poliziotti fossero arrivati subito dopo l’inizio della sparatoria, intorno alle 11.30 ora locale, un gruppo di loro ha fatto irruzione per fermare lo sparatore, il 18enne Salvador Ramos, soltanto un’ora e un quarto più tardi.
Negli Stati Uniti non esiste un protocollo nazionale per gestire le sparatorie nelle scuole, ma negli ultimi vent’anni si è affermata una prassi che prevede che la persona che sta sparando vada aggredita il prima possibile, anche a costo di mettere in pericolo la sicurezza dei poliziotti, in modo da evitare che possa ferire o uccidere altre persone.
Non è sempre stato così. Fino a una ventina di anni fa, scrive CNN, in casi del genere la polizia adottava una strategia detta ICE, una sigla che stava per isolare e contenere il sospettato, ed evacuare le altre persone presenti in attesa dell’arrivo di unità specializzate. Tutto cambiò nel 1999 con la strage di Columbine, quando i 17enni Eric Harris e Dylan Klebold entrarono nella scuola superiore Columbine di Littleton, una città nei sobborghi di Denver, in Colorado, e spararono contro i loro compagni e professori. Uccisero 13 persone e ne ferirono 24, poi si suicidarono.
Da allora decine di sparatori hanno imitato Harris e Klebold, approfittando del fatto che le scuole siano per loro natura fra gli edifici pubblici in cui è più facile penetrare. Di recente il Washington Post ha calcolato che dalla strage di Columbine in poi ci sono state sparatorie in 331 scuole statunitensi, e che circa 311mila studenti abbiano subìto un’esperienza del genere.
«Columbine cambiò tutto perché realizzammo che benché aspettare non fosse un cattivo piano, nel frattempo un sacco di persone vengono uccise», ha detto al New York Times Robert J. Louden, ex capo negoziatore della polizia di New York e oggi professore emerito alla Georgian Court University del New Jersey.
Il New York Times racconta che in tutto il paese alle forze di polizia locale, che spesso sono le prime a raggiungere il luogo di una sparatoria, «viene insegnato di intervenire in piccoli gruppi, o addirittura con uno o due agenti, per disarmare lo sparatore». Anche nelle linee guida in vigore in Texas e seguite dalla polizia di Uvalde in una esercitazione appena due mesi fa c’è scritto chiaramente che la priorità in queste situazioni è «affrontare la persona che sta sparando».
The Uvalde training session 2 months ago relied on guidelines that give explicit expectations for officers responding to an active shooter.
The training is clear: Time is of the essence. The “first priority is to move in and confront the attacker.”https://t.co/UV5I33bFhi
3/9 pic.twitter.com/7IuKw1lnMi
— Mike Baker (@ByMikeBaker) May 28, 2022
Non è chiarissimo perché martedì i poliziotti di Uvalde non abbiano seguito il protocollo indicato. Una prima ipotesi che sta circolando riguarda la dinamica della sparatoria. In alcuni casi ai poliziotti viene consigliato di incassare tempo se lo sparatore finisce di sparare e si barrica dentro un ambiente chiuso: in un caso del genere è possibile che lo sparatore abbia preso uno o più ostaggi, e una eventuale irruzione potrebbe portare alla loro morte.
Nei giorni scorsi Steven McCraw, direttore del dipartimento della Sicurezza pubblica del Texas, ha parlato esplicitamente del fatto che la polizia di Uvalde abbia male interpretato cosa stava succedendo dentro alla scuola elementare, ritenendo che Ramos avesse preso degli ostaggi.
Non è chiarissimo però da dove fosse nata quella convinzione. Associated Press, citando due fonti anonime, ha scritto che esistono alcune registrazioni di membri delle forze dell’ordine che durante la sparatoria cercano di convincere il capo della polizia di Uvalde, Pete Arredondo, a irrompere dentro la scuola perché la sparatoria era ancora in corso. Subito dopo la strage, inoltre, si è saputo che per più di un’ora diversi bambini che si trovavano all’interno della scuola hanno chiamato il numero d’emergenza 911 per segnalare decessi e feriti e chiedere l’intervento della polizia.
L’operazione per fermare Ramos è iniziata così tardi che non era ancora cominciata quando a Uvalde arrivarono alcuni agenti federali partiti da Del Rio, una città a 113 chilometri di distanza. Per avere un termine di paragone, la polizia locale intervenne dopo sei minuti nel caso della strage alla scuola elementare di Sandy Hook, in Connecticut, mentre quella di Las Vegas ci mise 12 minuti per irrompere nella stanza d’albergo dove si trovava l’uomo che sparò sulla folla a un concerto country sulla Las Vegas Strip, nel 2017.
Non è ancora chiarissimo se quello della polizia di Uvalde sia stato soltanto un errore di valutazione. Ashley Heiberger, un istruttore di polizia della Pennsylvania sentito dal New York Times, sostiene che in alcuni dipartimenti di polizia scoraggino gli agenti a mettere in pericolo la propria vita, anche in situazioni come una sparatoria di massa. Un genitore di una bambina che frequenta la scuola elementare di Uvalde ha invece raccontato al New York Times che nelle primissime fasi della sparatoria la polizia «non si era portata dietro l’equipaggiamento adatto», e che per esempio alcuni scudi sono stati portati solo in seguito, e con grande lentezza.
È plausibile che nei prossimi tempi ne sapremo di più: domenica il dipartimento della Giustizia statunitense ha annunciato di avere aperto un’indagine sulla gestione della sparatoria da parte della polizia di Uvalde.
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www.ilpost.it
2022-05-30 13:19:22 ,