ROMA – Sistema gli occhiali larghi, nuovi, quelli di prima glieli ha rotti una madre infuriata per le insufficienze della figlia. Sistema il bavero del tailleur. Lucia Celotto, 61 anni, insegnante di Inglese da trentacinque, dal salotto di Castellamare di Stabia prova a raccontare alla web tv La Voce della scuola la nuova frontiera della violenza sui docenti: l’aggressione di famiglia dentro la classe. Sono trascorsi quattro giorni da quella furia e la professoressa non si è ripresa . “Erano in quattro, tutti familiari. Sono entrati dal portone principale senza che nessuno abbia provato a fermarli. Davanti a tutti la madre di Francesca, una ragazza della prima del liceo Artistico, la sezione A. Poi il marito, la nonna di Francesca e un giovane. Hanno iniziato a cercarmi, aula per aula”.
A cercare lei, tutti e quattro?
“Sì, l’Istituto Plinio Seniore è enorme, organizzato su più ali. La sezione A dell’Artistico è nel punto più lontano dall’ingresso. Era la quarta ora, stavo finendo il servizio. Giovedì scorso, poco prima di mezzogiorno. Con i loro cellulari accesi, i ragazzi sapevano in diretta che stava succedendo qualcosa. Una classe si avvertiva con l’altra, segnalavano l’avanzare di quella famiglia dentro la scuola”.
Ha capito cosa stava succedendo, è rimasta in aula?
“Sì, ero tranquilla e volevo trasmettere tranquillità ai miei ragazzi. Loro mi dicevano: ‘Prof, stia attenta’. Non avrei mai immaginato un’aggressione in corridoio, dopo trentacinque anni di servizio”.
“La preside non mi ha voluto avvertire del pericolo”
Sapeva che quelle persone stavano arrivando proprio da lei?
“In verità, no. Il giorno prima ero stata convocata dalla preside, Fortunella Santaniello. Mi aveva parlato delle proteste di alcuni genitori, genericamente, senza fare nomi. Mi accusavano di dare voti con due pesi e due misure, ai figli di presunti amici e ai figli di nessuno. Non potevo ascoltare quelle calunnie, ho trascorso una parte della vita a istruire ragazzi usciti dal carcere. Non credo nel potere della valutazione e sono piuttosto generosa nei giudizi. I ragazzi non sono numeri, ore di assenza, di ritardo, pagelle, sono storie e problemi. Ho detto alla preside: ‘Se non mi vuoi dire chi mi accusa, me ne vado, non voglio più ascoltare queste illazioni’. La dirigente, con quei silenzi, non mi ha dato la possibilità di prendere una misura al rischio e non ha neppure voluto che una collega sindacalista fosse presente al colloquio”.
Se la dirigente le avesse detto che le voci provenivano dalla madre di Francesca, cosa sarebbe cambiato?
“Mi sarei ricordata di quella donna aggressiva che avevo incontrato nel primo quadrimestre, dopo un quattro dato alla figlia e a molti studenti che non avevano fatto i compiti a dimora. Non li controllo spesso, ma se scopro la mancanza dei compiti mica posso fare finta di nulla. Mi avevano colpito, di quella donna, le continue domande su una compagna di classe di sua figlia: ‘E perché non ha preso quattro anche lei, perché?’. Sembrava ossessionata dall’altra ragazza tanto che le dovetti dire: ‘Vogliamo parlare del rendimento di sua figlia?’. Poi ho saputo che aveva già aggredito alcune colleghe”.
Torniamo al giovedì da Ok Corral. Parrebbe una spedizione punitiva.
“Urlavano come forsennati, parolacce nei corridoi. La madre apriva le porte di tutte le classi e chiedeva: ‘E’ lei la Celotto?’, e giù insulti. Sono saliti fino all’ultimo piano, per non perdere un’aula, e poi hanno iniziato a scendere le scale, fino al primo piano dove sta la mia A”.
Francesca, la figlia studentessa, che cosa faceva in quei momenti?
“Avevo parlato in classe delle accuse riferite dalla preside. Tutti i ragazzi mi avevano confermato che non era vero, non facevo favoritismi. Francesca, invece, era molto agitata. Mi ha chiesto di andare al bagno, stava male, l’ho lasciata uscire. Non è più rientrata. A un certo punto le urla fuori dalla classe sono diventate nitide, vicine. Parolacce, parolacce. Erano tutti spaventati, qualcuno ha chiamato la polizia”.
Lei ha sentito aprire l’ultima porta, la vostra?
“Sono uscita io, nel corridoio. Avevo finito la lezione. La madre era laggiù, gli occhi pieni di odio. Non mi ha spiegato perché, non mi ha parlato di 4, di 5, ma è corsa verso di me riempiendomi di insulti. I ragazzi erano terrorizzati. La donna ha iniziato a colpirmi, schiaffi sulla testa, sulle spalle, in faccia”.
Il bidello è rimasto fermo durante l’aggressione
C’erano collaboratori scolastici intorno a lei?
“Uno, al piano. Non si è mosso”.
Qualcuno l’ha difesa?
“Alcuni studenti, una ragazza in particolare. Quella donna se l’è presa anche con lei, l’ha minacciata: ‘Se sei amica di questa, ti faccio fare la stessa fine'”.
E il resto della famiglia?
“Era impressionante la nonna, un fascio di cattiveria e improperi. Sembrava pronta a picchiare, anche lei”.
Professoressa, ha reagito a tanta violenza?
“Ero impietrita. Me lo hanno chiesto anche i miei nipoti, frequentano il quinto anno nello stesso istituto. No, non è nella mia natura e non volevo mostrare il peggio di me agli alunni. Non mi capacito di una cosa, sa, anzi di due”.
Ovvero?
“La madre come ha fatto a girare libera e indisturbata dentro una scuola, ad arrivare alla sua preda?”.
E poi?
“Come ha fatto, quella donna, ad attaccarmi davanti a dei quindicenni, loro non devono vedere questo livello di prepotenza”,
Che cosa ha fatto quando la furia si è quietata?
“Sono andata al pronto soccorso, da sola. Nessuno si è offerto di accompagnarmi”.
La preside?
“In quattro giorni non l’ho mai sentita”.
Tornerà a scuola, professoressa Celotto?
“Per ora no, sono ancora scossa. Mi devono ridare la mia dignità di insegnante, non meritiamo di essere lasciati in pasto alle belve”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2023-03-28 07:26:59 ,www.repubblica.it