Non è stato un anno memorabile per la Rai, il 2023: travolta dalle polemiche e dalle guerre intestine, oltre che dagli addii clamorosi come quelli di Fabio Fazio, moltissimi dei nuovi programmi lanciati negli ultimi dodici mesi si sono rivelati un fallimento annunciato (sì, Mercante in fiera, stiamo guardando te). D’altronde è risaputo che, a ogni cambio di governo, anche la tv di Stato compie ogni volta una rivoluzione copernicana, con relativo valzer di direttori, conduttori e idee malsane. Eppure, nonostante gli alti e i bassi, le porte scorrevoli e i raccomandati del momento, la Rai è sempre la Rai, con quella sua pachidermica solennità. E il 2024 parte già con uno slancio non da poco, dato che ci sono da celebrare i 70 anni dalla nascita della Radiotelevisione di Stato. Il suo primo embrione risale in realtà a 100 anni fa, con la nascita nel 1924 dell’Unione radiofonica italiana, che diventa Eiar (Ente Italiano per la Audizioni Radiofoniche) nel 1927, Radio Audizioni Italiane nel 1994 e infine Rai – Radiotelevivione Italiana nel 1954. Esattamente il 3 gennaio 1954.
Passato e presente
“La Rai Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”, disse l’annunciatrice Fulvia Colombo proprio nella serata di quel 3 gennaio di sette decenni fa, prima di lasciare spazio ad Arrivi e partenze di Mike Bongiorno. Proprio a Bongiorno è legata anche un’altra famosa trasmissione, Rischiatutto, che torna nella serata del 3 gennaio 1954 condotta da Carlo Conti come Rischiatutto 70, un evento speciale per celebrare questi 70 anni di storia. Ma sono tantissimi i titoli che hanno fatto la storia della tv pubblica: da La Domenica sportiva, il programma più longevo della televisione italiana ancora oggi in onda, a Non è mai troppo tardi, con cui il maestro Manzi alfabetizzava (e di fatto finalmente unificava) gli italiani; dal Carosello ai varietà come Fantastico, Canzonissima, Milleluci; dalle fiction come La piovra ad esperimenti come Quelli della notte fino a cult ancora in onda come Blob, Chi l’ha visto?, Domenica In e così via.
Senza parlare, ovviamente del festival di Sanremo, ancora oggi l’evento televisivo più seguito in assoluto, anche grazie alla “cura Amadeus” degli ultimi anni. Volenti e nolenti, nonostante quella patina di vecchiume e quella solita insofferenza rispetto a un carrozzone sempre pieno di contraddizioni e pesantezze, si finisce sempre per tornare a “mamma Rai”, chiamata così – sembra fatto apposta – perché anche se ogni tanto non la puoi sopportare, o ti fa venire i nervi, alla fine non puoi che volerle bene. Del resto ci siamo passati tutti: chi è cresciuto coi programmi per ragazzi come Solletico e La Melevisione, oppure vi ha scoperto grandi serie internazionali come Friends o successi nostrani come Montalbano; chi ancora non ha perso un gol con Tutto il calcio minuto per minuto o Quelli che… il calcio; chi ha scoperto il mondo con Superquark, Overland, Sereno Variabile; chi è rimasto incantato di fronte a miti come Corrado, Raffaella Carrà, Pippo Baudo, Piero Angela e così via.
Che ci piaccia ammetterlo o no, la televisione è ancora il più potente mezzo di formazione culturale del nostro paese, i dati parlano chiaro. Per questo, in mancanza di altri primati, è particolarmente avvilente vedere come la Rai sia costantemente asservita ai partiti di turno, svuotata del suo senso, svantaggiata rispetto alla sana concorrenza delle emittenti private o addirittura nel contesto internazionale (per fortuna, almeno sul fronte della digitalizzazione, negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, verrebbe dire quasi “contro” sé stessa). Perché la Rai è qualcosa che appartiene a tutti noi: è stata maestra, tuttora è compagna di molte solitudini, è finestra sul mondo e possibilità di evasione, è soprattutto uno specchio, in cui riflettere e trovare ciò che siamo, come Paese, nel profondo. Al di là delle brutture, oggi siamo anche la Rai di Mare fuori, L’amica geniale, Viva Rai 2 con Fiorello, Ulisse di Alberto Angela e così via. La Rai siamo noi, ci piaccia o meno. Un motivo in più per tenersela stretta, a 70 anni dalla sua nascita, e provare ognuno nel proprio modo a difenderla.
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di Paolo Armelli www.wired.it 2024-01-03 09:03:25 ,