Da diverse settimane la possibilità di una nuova invasione russa in Ucraina si è fatta sempre più concreta. Dallo scorso novembre il governo russo sta ammassando migliaia di soldati vicino al confine dell’Ucraina orientale, minacciando di intervenire se l’Occidente, o meglio la NATO, non decida di rinunciare a tenere l’Ucraina sotto la sua influenza, e quindi non mostri con chiarezza di voler rinunciare al processo di “allargamento a est”. Negli ultimi giorni le preoccupazioni di un eventuale intervento russo si sono fatte ancora più intense e ci sono ragioni per credere che il regime di Vladimir Putin stia effettivamente pensando a un’operazione militare di qualche tipo.
La prima cosa da tenere a mente è che un’eventuale operazione militare russa in Ucraina non sarebbe qualcosa di nuovo, né di particolarmente inaspettato.
Negli ultimi quindici anni la Russia di Putin ha mostrato in diverse occasioni di essere disposta a usare le forza per garantire la propria influenza in paesi vicini che facevano parte dell’Unione Sovietica: successe per esempio nel 2008 in Georgia, dove la Russia intervenne ricacciando indietro le truppe georgiane che avevano invaso l’Ossezia del Sud; e successe nel 2014 in Crimea, quando uomini col volto coperto furono mandati da Putin a prendere il controllo della penisola ucraina, poi annessa tramite un referendum assai controverso.
La seconda cosa da considerare è che l’Ucraina è particolarmente importante per la Russia, e lo è da diverso tempo.
Putin vorrebbe che la NATO, l’alleanza militare di cui gli Stati Uniti sono leader informali, fornisse una garanzia ufficiale di rinuncia a fare entrare l’Ucraina nell’organizzazione (anche se per ora nessuno è intenzionato a farlo) e a espandere quindi la propria presenza verso est. In questi giorni diversi analisti hanno menzionato il lungo articolo pubblicato da Putin lo scorso luglio in cui il presidente russo parlava della «storica unità tra russi e ucraini» e sosteneva, in sostanza, che l’Ucraina appartenesse alla Russia e che la formazione di un’identità nazionale ucraina staccata dalla Russia fosse da considerarsi un «progetto anti-Russia».
La situazione che si è creata oggi è particolarmente inquietante per diverse ragioni.
Anzitutto per la quantità di truppe ammassate al confine. Ad aprile la Russia aveva spostato circa 40mila soldati al confine con l’Ucraina, meno della metà degli attuali 100mila accompagnati da centinaia di carri armati e missili di vario tipo. Lunedì il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, alleato di Putin, ha inoltre annunciato l’arrivo in Bielorussia, paese che confina a sud con l’Ucraina, di soldati e mezzi russi che parteciperanno a esercitazioni militari congiunte che avverranno anche vicino alla frontiera con il territorio ucraino: «Un’altra possibile via per un’invasione», hanno scritto i giornalisti Michael Schwirtz e David Sanger sul New York Times.
Lo spostamento di militari potrebbe essere solo una mossa per fare pressioni ai paesi occidentali, spingerli a fare delle concessioni, ma potrebbe essere anche la preparazione di un intervento di qualche tipo.
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Un altro evento visto con preoccupazione è stato l’evacuazione parziale dell’ambasciata russa a Kiev, in Ucraina, che è iniziata nel corso dell’ultima settimana e che sempre il New York Times ha definito come «forse parte della propaganda, forse parte della preparazione di un conflitto incombente, o forse una “finta”». «Come interpretare l’evacuazione è diventato parte del mistero di indovinare la prossima mossa del presidente russo Vladimir Putin», soprattutto dopo il fallimento di tutti i tentativi di risoluzione diplomatica svoltisi in Svizzera a gennaio tra rappresentanti diplomatici statunitensi e russi.
L’intervento russo in Ucraina sembra un’ipotesi così concreta che diversi analisti, esperti e centri studi hanno iniziato a immaginare e commentare tempistiche e modalità dell’intervento.
Riguardo alla tempistica, per Max Seddon, corrispondente del Financial Times da Mosca ed esperto di cose russe, questo per la Russia sarebbe un buon momento per attaccare l’Ucraina, soprattutto perché gli Stati Uniti stanno concentrando le proprie attenzioni altrove. Il presidente americano Joe Biden sta impegnando persone e risorse nel tentativo di trovare soluzioni ai moltissimi problemi causati dalla pandemia, e allo stesso tempo contrastare l’ascesa della Cina, che negli ultimi anni è diventato il paese più complicato da gestire per gli Stati Uniti. Biden, inoltre, sta attraversando un momento complicato in termini di politica interna: sta infatti incontrando grandi resistenze nel far passare le ambiziose riforme che aveva promesso, e che sono per lo più bloccate al Congresso.
Per quanto riguarda le modalità, non è chiaro come potrebbe svolgersi un attacco russo, ma anche su questo punto si sono fatte diverse ipotesi.
Negli ultimi giorni diversi giornali americani hanno parlato di una possibile “false flag operation”, cioè di un’operazione che potrebbe voler orchestrare la Russia per iniziare l’attacco. In pratica i ministeri della Difesa americano e ucraino hanno detto di avere raccolto informazioni sul fatto che la Russia avrebbe addestrato diverse persone in grado di maneggiare esplosivi, che potrebbero inscenare un attacco contro la stessa Russia dando al paese la scusa per attaccare l’Ucraina. Ovviamente sono informazioni da prendere con le pinze: non c’è la certezza che sia così o che esista anche solo l’intenzione da parte del governo russo di creare un espediente per l’attacco, ma non è nemmeno un’ipotesi da escludere.
Il Center for Strategic and International Studies (CSIS), centro studi specializzato in strategia e affari internazionali, ha fatto anche qualche ipotesi su come potrebbe svolgersi un attacco militare russo in Ucraina.
Secondo il rapporto del CSIS, per la Russia potrebbe essere vantaggioso attaccare tra gennaio e febbraio, senza aspettare marzo, quando lo scioglimento della neve renderebbe parte del terreno una fanghiglia meno agibile per molti mezzi militari. L’offensiva potrebbe svilupparsi lungo tre vie. La prima da nord, dalla Bielorussia; la seconda dal centro, entrando in Ucraina da est e avanzando verso ovest; e la terza da sud, arrivando dall’istmo di Perekop, la lingua di terra che collega la Crimea all’Ucraina.
A quel punto, scrive il CSIS, la Russia potrebbe agire in diversi modi.
Potrebbe ritirare, almeno temporaneamente, parte dei propri soldati, se ritenesse gli accordi di pace soddisfacenti. Potrebbe annettere solo la parte orientale dell’Ucraina, avanzando però oltre il Donbass, dove si trovano oggi i separatisti filorussi, arrivando a ovest del fiume Dnepr oppure includendo anche Odessa e la fascia di terra che collega l’Ucraina alla Transnistria (lo stato separatista filo-russo che si trova tra l’Ucraina e la Moldavia: quest’ultima opzione toglierebbe di fatto all’Ucraina l’accesso al Mar Nero).
La Russia potrebbe infine invadere e annettere tutta l’Ucraina, creando una «nuova cortina di ferro» che dal confine con Finlandia e stati baltici attraversi l’Europa orientale, il Medio Oriente e arrivi fino alla Cina: questa sembra comunque un’ipotesi molto meno probabile delle altre.
Un’altra ipotesi, certamente considerata più credibile rispetto all’annessione di tutta l’Ucraina, è che la Russia voglia iniziare un attacco contro l’Ucraina senza l’intenzione precisa di annettere grandi parti di territorio ucraino, ma con l’obiettivo di indebolire ed eventualmente far cadere il governo di Kiev, oggi particolarmente ostile al regime russo.
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2022-01-18 15:14:55 ,