La Sottile Linea Rossa, i 25 anni di un’esperienza cinematografica unica

La Sottile Linea Rossa, i 25 anni di un’esperienza cinematografica unica


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Di fatto è bene chiarire subito una cosa: La Sottile Linea Rossa non è un film di guerra, è un film sulla guerra. Non è una distinzione da poco, perché Malick fece di questo film un contenitore a più livelli, su cui inserire un’analisi sul conflitto che partiva dal contrasto tra la natura e la società umana, per poi connettersi alla filosofia di Martin Heidegger, di Schopenhauer, Kant, concentrandosi su concetti come la fenomenologia, l’idealismo, la trascendenza, se e come un uomo possa salvare sé stesso andando controcorrente. Mentre seguiamo Wilt (Jim Caviezel) che rifiuta di farsi assorbire completamente da quel veleno chiamato Guerra, ecco che Malick ci parla dell’amicizia tra uomini in armi, del destino, della volontà, di come l’anima può cercare di rimanere pura, in mezzo all’orrore e all’odio di una guerra ricreata con terribile e magistrale verosimiglianza. Il tutto immergendoci in un caleidoscopio di immagini e suoni, con la natura che diventa un meraviglioso quadro in movimento, che reagisce costantemente all’operato dell’uomo, al suo ondeggiare tra bene e male, diventa prolungamento di uno stato d’animo che è sia personale che collettivo. In pochissimi altri film la fotografia ha avuto un ruolo così fondamentale nel giocare con luci, colori, nel sottolineare l’atmosfera e le emozioni che essa vuole far arrivare al pubblico. Quello a John Toll in quest’ambito fu solo uno dei tanti Oscar di cui La Sottile Linea Rossa fu derubata. Un altro senza dubbio fu quello ad Hans Zimmer. Se quella di Interstellar è la colonna sonora a cui è più affezionato, questa ad oggi è il suo lavoro più difficile, più complesso, più perfetto.

Un film sulla volontà di ribellione e di trascendenza

La Sottile Linea Rossa è dominato dall’alternarsi tra opposti. Vita e morte, uomo e natura, uomo e Dio, sogno e realtà. Vi è lo scontro-incontro tra Wilt, che cerca di andare oltre e rifiuta una visione della vita come prodotto di una volontà muscolare, e il sergente Welsh (Sean Penn). A Welsh, un grande Penn dona carisma, cinismo, ma diventa, infine, protagonista di un iter di conversione ad una ribellione che è porta verso una maggiore comprensione della realtà, di sé stessi, al rifiuto dell’ipse dixit. La Sottile Linea Rossa dona allo spettatore un film in cui ogni immagine è un quadro in movimento, un’immersione totale dentro un’esperienza dei sensi, dentro una delle battaglie più atipiche del fronte del Pacifico. Qualcosa di personale ma universale, perché di Wilt, Welsh, dei loro compagni, dell’ambizioso Colonnello Tall (Nick Nolte), afferriamo ogni emozione, ogni ragionamento e ogni dubbio. Il soldato giapponese non è diverso nella sua sofferenza, nel suo dramma, da quei ragazzi arrivati dagli Stati Uniti per finire in bocca alla morte. Malick si pone quindi in perfetta antitesi alle certezze espresse da Salvate il Soldato Ryan, che nello stesso anno andò incontro ad un successo di pubblico che oscurò ciò che egli ci aveva donato. Ma senza togliere nulla al film di Steven Spielberg, La Sottile Linea Rossa rimane anche una delle più straordinarie regie degli ultimi 25 anni, tecnicamente il punto più alto mai toccato da Terrence Malick, mentre si chiede da dove venga l’amore, da dove venga la guerra che trasforma gli uomini in cani rognosi, ci mostra Dio che vive in tutte le cose, negli occhi di Wilt, le lettere da casa, coccodrilli, serpenti e alberi.

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Negli anni a venire, solamente un altro grande narratore dell’uomo come Clint Eastwood sarebbe riuscito con Letters From Iwo Jima e Flags of Our Fathers ad avvicinarsi al risultato ottenuto da Malick. Chi ha visto La Sottile Linea Rossa non lo ha più dimenticato, perché vi ha trovato non un mero racconto bellico come altri, ma una modalità di analisi dell’esistenza. La guerra è dentro ognuno di noi, è parte di un contrasto eterno, con cui ogni essere è costretto a fare i conti fin dall’alba dei tempi. Se Oliver Stone con Platoon aveva reso quest’analisi fonte di una contrapposizione netta, La Sottile Linea Rossa invece rifiuta una visione così semplice, così consolatoria e in questo può essere paragonato ad Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, altro viaggio filosofico viscerale. Come il capoalvoro di Coppola, anche questo è capace di toglierci ogni certezza verso noi stessi, il nostro rapporto con il concetto di infinito concepito come spirituale e personale, il senso della vita. Rimane, a 25 anni di distanza, l’amarezza per non aver mai potuto gioire di una Director’s cut, altrove così superflua, qui invece necessità artistica irrisolta. Rimane negli occhi la morte di Wilt, quel soldato giapponese (in realtà un suo alter ego) che gli sta chiedendo di arrendersi, la paura che lascia gli occhi di Wilt, la decisione di abbracciare il passo successivo, senza temerlo. Nessun altro film, neppure Orizzonti di Gloria, Full Metal Jacket, Va e Vedi o La Grande Illusione ha saputo fare di un racconto di guerra per immagini il mezzo per un’analisi così importante. Qualcosa che rende La Sottile Linea Rossa un’esperienza ancora oggi ineguagliata, pur a distanza di un quarto di secolo.



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di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-12-25 05:10:00 ,

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