I nostri pensieri, comportamenti e sentimenti non sono altro che il risultato di una complessa rete di miliardi di neuroni che si trasmettono segnali l’un l’altro, consentendo così la comunicazione tra le diverse regioni del cervello. Questo è quello che abbiamo creduto finora. Ma oggi, a contrastare questa teoria ampiamente condivisa, arriva un nuovo studio pubblicato su Nature, secondo cui sarebbe in realtà la forma del cervello ad avere una maggior influenza su come pensiamo e ci comportiamo rispetto, appunto, alla sua intricata rete di connessioni neurali. Un risultato importante che potrebbe, quindi, semplificare notevolmente il modo in cui studiamo come funziona, si sviluppa e invecchia il nostro cervello.
Nel nuovo studio, i ricercatori della Monash University, in Australia, volevano capire in che modo l’attività cerebrale è influenzata da ciascuno dei modi in cui l’eccitazione neuronale può diffondersi: attraverso la superficie del cervello o attraverso interconnessioni distanti. Per farlo, hanno esaminato i dati di oltre 10mila mappe dell’attività cerebrale, ottenute grazie alle risonanza magnetiche (Mri), e creato un modello computerizzato che simulava il modo in cui le dimensioni e la forma di un cervello influenzano le onde cerebrali. Hanno confrontato quindi il loro modello con quello preesistente, ossia quello che identifica la connessione neurale come il motore della funzione cerebrale.
Cosa dice lo studio
Dal confronto è emerso che il nuovo modello ha fornito una ricostruzione più accurata dell’attività cerebrale mostrata nelle scansioni Mri rispetto al modello precedente. In altre parole, i ricercatori hanno scoperto che la forma era un migliore predittore dei dati delle onde cerebrali rispetto alla connessione neurale, considerata finora dominante nel guidare l’attività cerebrale. Come spiegano i ricercatori, la forma del cervello potrebbe essere paragonata a un sasso che crea increspature in uno stagno: le dimensioni e la forma dello stagno aiutano a determinare la natura di quelle increspature. “Utilizzando modelli matematici, abbiamo confermato le previsioni teoriche secondo cui lo stretto legame tra geometria e funzione è guidato da un’attività ondulatoria che si propaga in tutto il cervello, proprio come la forma di uno stagno influenza le increspature delle onde formate da un sasso che cade”, ha commentato Alex Fornito, tra gli autori dello studio.
Secondo i ricercatori, inoltre, i risultati aprono la strada a nuove opportunità per comprendere gli effetti di malattie come la demenza e l’ictus, “considerando i modelli della forma del cervello, che sono molto più facili da gestire rispetto ai modelli dell’intera rete di connessioni del cervello”, ha spiegato l’autore James Pang, sottolineando tuttavia che la ricerca non esclude l’importanza della comunicazione tra i neuroni; suggerisce, piuttosto, che la geometria del cervello svolgerebbe un ruolo più importante nella funzione cerebrale. “Ciò che il lavoro sta dimostrando è che la forma ha un’influenza più forte, ma non sta dicendo che la connettività non sia importante”, ha concluso l’esperto.
Tuttavia, non tutti gli scienziati sono convinti della nuova ricerca. Per esempio, David Van Essen, neuroscienziato della Washington University di St. Louis, Missouri, si è mostrato scettico nei confronti di questi risultati,. Come ha spiegato l’esperto a Nature, le risonanze magnetiche sono strumenti imperfetti e potrebbero non catturare in modo affidabile la natura delle connessioni del cervello.
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di Marta Musso www.wired.it 2023-06-01 10:19:45 ,