Forse non sapremo mai come fosse fatto davvero l’antenato comune di tutti i mammiferi, per esempio quanto fosse grande, quanto fossero lunghe la sua coda e i suoi denti o quali fossero le sue abitudini. Eppure oggi possiamo dire di conoscerlo un po’ meglio, e con lui anche tutti gli altri mammiferi da 180 milioni di anni a questa parte. Essere umano compreso. Un team di ricercatori dell’Università della California-Davis, infatti, ha ricostruito al computer il suo genoma – operazione che potrebbe aiutarci a comprendere meglio l’evoluzione di questa classe di vertebrati e come salvaguardare le specie odierne. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Pnas.
Il genoma ancestrale
Gli scienziati hanno messo a confronto il materiale genetico di 32 specie viventi, includendo rappresentanti di quasi tutti gli ordini di mammiferi conosciuti: essere umano, bradipo e bovino domestico; scimpanzé, vombato e coniglio; e ancora lamantino, rinoceronte, pipistrello e pangolino, e via dicendo. Hanno anche compreso nell’analisi un paio di genomi di non mammiferi (pollo e alligatore cinese) da usare come controlli. I campioni derivano da progetti come l’Earth BioGenome, per la conservazione della biodiversità.
In questo modo i ricercatori hanno individuato 1.215 blocchi di geni che si trovano sempre (cioè in tutti e 32 i genomi di mammifero considerati) associati sugli stessi cromosomi e nello stesso ordine. Questo altissimo grado di conservazione, spiegano i ricercatori, li rende elementi costitutivi di tutti i genomi di mammifero, ossia porzioni di materiale genetico che contengono geni fondamentali per lo sviluppo embrionale. In base a simili osservazioni, si può dedurre che il mammifero ancestrale, il progenitore comune, avesse 20 coppie di cromosomi, di cui 2 cromosomi sessuali.
Cromosomi stabili da 300 milioni di anni
Lo studio ha portato anche una sorpresa: 9 tra cromosomi interi e frammenti di cromosomi del progenitore comune dei mammiferi contengono geni il cui ordine si ritrova anche negli uccelli e nei rettili moderni. “Questa straordinaria scoperta mostra la stabilità evolutiva dell’ordine e dell’orientamento dei geni sui cromosomi in un arco di tempo evolutivo esteso, di oltre 320 milioni di anni“, ha commentato Harris Lewin, che ha coordinato la ricerca.
Al di fuori di questi blocchi conservati, invece, ci sono regioni che portano i segni dell’evoluzione. Sequenze ripetute, riarrangiamenti, duplicazioni indicano dove e perché sono avvenute pressioni selettive che hanno portato allo sviluppo dei diversi rami dell’albero filogenetico dei mammiferi. Anche il tasso di riarrangiamento dei cromosomi nel tempo dà informazioni importanti: per esempio, circa 66 milioni di anni fa c’è stata un’accelerazione nel ramo che conduce ai moderni ruminanti, in corrispondenza dell’evento che portò alla scomparsa dei dinosauri.
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di Mara Magistroni www.wired.it 2022-09-28 12:30:00 ,