L’arma legale del femminicidio – L’Espresso

L’arma legale del femminicidio – L’Espresso



Ottantacinque donne uccise dall’inizio dell’anno, cinquantuno quelle uccise da mariti, partner o ex. Sono questi i numeri dei femminicidi in Italia. Undici solo nell’ultimo mese. 

Sono Dorjana Cerqueni, 60 anni, ammazzata con un colpo di pistola dal padre. Alessandra Zorzin, 21 anni, uccisa a colpi di pistola da una guardia giurata. Rita Amenze, 31 anni, freddata con quattro colpi dal marito. E Vanessa Zappalà, 31 anni, uccisa un mese fa, tra la folla ad Acitrezza, raggiunta da diversi colpi d’arma da fuoco sparati dall’ex fidanzato, denunciato per stalking e già agli arresti domiciliari. L’ultima sabato: Anna Cupelloni, 57 anni, si stava separando dal marito; lui l’ha uccisa con un fucile da caccia.

L’arma del femminicidio è sempre più un’arma da fuoco legalmente detenuta. Sono pistole che abitano nelle case e di cui si conosce l’esistenza. Secondo l’OPAL, Osservatorio permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa, nel 2020 a fronte di 93 omicidi di donne, 23 sono stati commessi da legali detentori di armi o con armi da loro detenute. Si tratta di un omicidio su quattro. Un dato impressionante se messo in rapporto al numero di chi possiede una licenza per armi: meno del 10% degli italiani. 

Numeri calcolati dall’associazione perché non esistono registri ufficiali. Manca infatti un censimento delle licenze e delle armi legalmente detenute (le stime delle licenze, compreso il nulla osta, variano dai 3 ai 4 milioni e quelle delle armi regolarmente detenute da 8 a 12 milioni), che faccia emergere anche quelle ereditate o da collezione, che sono funzionanti, ma spesso senza licenza, e i dati relativi a omicidi e armi utilizzate. L’unico numero disponibile è una tabella che la polizia pubblica ogni anno, nel rapporto sugli omicidi del Dipartimento della Pubblica sicurezza: si parla di 1.266.476 licenze per il 2020. 

Considerando che ogni famiglia italiana è composta in media da 2-3 individui, il Censis ha calcolato che ci sono quasi 4-5 milioni di italiani, tra cui oltre 700.000 minori, che hanno un’arma a portata di mano e che, per gioco, per sbaglio, o con intenzioni delinquenti od omicide potrebbero sparare e uccidere. «È necessario, fin da subito, togliere dalla mani dei potenziali assassini, quelle armi che poi usano per uccidere. Armi che nella gran parte dei casi detengono legalmente con la complicità, va detto chiaro, di norme che ne permettono il facile accesso», commenta Giorgio Beretta, analista dell’Opal. «Questi delitti non suscitano più attenzione: una sorta di assuefazione avvolge gli omicidi con armi. Nel triennio 2017-19 sono stati almeno 131 gli omicidi perpetrati con armi regolarmente detenute, a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e 37 omicidi per furto o rapina. In altre parole, oggi in Italia è più facile essere uccisi da un legale detentore di armi che dalla mafia o dai rapinatori». 

Anche se il numero degli omicidi cala di anno in anno, e l’Italia risulta essere uno dei paesi più sicuri d’Europa, chi ha un’arma ha molte più probabilità di uccidere di chi non ne possiede. Non passa giorno un in cui non vi siano omicidi, tentati omicidi, minacce di morte o un reati da parte di chi detiene armi con regolare licenza. E in tutto questo solo un numero resta costante: è quello delle donne uccise. 

Licenze facili e possibili arsenali 

Ottenere una licenza per porto d’armi non è troppo difficile: basta essere esenti da malattie nervose e psichiche, non essere alcolista o tossicodipendente noto, e aver superato un breve esame di maneggio delle armi, inoltre la Questura controlla che non ci siano precedenti penali. Dal punto di vista medico, tutto si basa sul “certificato anamnestico”, di fatto un’autocertificazione controfirmata dal medico curante e una visita presso l’Asl, simile a quella per ottenere la patente di guida, in cui si valutano vista e udito. Nessuna visita specialistica, esame tossicologico o valutazione psichiatrica. Luca Traini, autore del raid razzista di Macerata, che ha ferito sei persone, ha impiegato 18 giorni per avere una licenza di tiro sportivo. «Persino per diventare carrellista serve un esame tossicologico, ma non per chi detiene un’arma», commenta Beretta. 

Sono due le tipologie di licenza più richieste e insieme fanno il 95% del totale: quella per uso caccia e quella per uso sportivo. Esistono altri tre tipi di licenze: quella da difesa personale, difficile da ottenere, riguarda le persone che hanno ricevuto minacce o svolgono lavori rischiosi (gioiellieri, avvocati penalisti, ecc.), quella per le guardie giurate, circa 50mila quelle distribuite e, infine, la licenza nulla osta, quella per cui l’arma deve rimanere in dimora e non si può mai uscire con essa, al massimo al poligono, dopo aver fatto richiesta alla questura per ottenere un permesso.

Le licenze per uso sportivo, venatorio o un semplice nulla osta, permettono potenzialmente, di disporre di un arsenale: revolver o pistole semiautomatiche con caricatori fino a 20 colpi, dodici armi cosiddette “sportive” – tra cui rientrano i famigerati fucili semiautomatici AR-15, i più usati nelle stragi in America, i fucili da cecchini “sniper” e alcuni tipi di fucili a pompa – con un numero illimitato di caricatori da 10 colpi e un numero illimitato di fucili da caccia, più 200 munizioni per armi comuni e 1.500 munizioni da caccia. 

«C’è chi lamenta leggi restrittive, ma quali? Sono fatte apposta per favorire la vendita di armi. Perchè chi ha la licenza di caccia può possedere pistole con cui non può andare a caccia? È assurdo che si possa avere un fucile semiautomatico con un semplice nulla osta. E le tasse? Due marche da bollo da 16 euro per ottenere una licenza per cinque anni», commenta Beretta. 

«Quando analizziamo insieme questi dati scopriamo che ci sono più licenze in circolazione per uso sportivo rispetto a chi l’uso sportivo lo pratica davvero. Questo vuol dire che la licenza è un escamotage», spiega Daniele Tissone, alla guida del Silp, il sindacato di Polizia della Cgil. Oggi esistono in Italia più di 400mila “tiratori fantasma” (su circa 580mila detentori di licenza), che non praticano alcuna disciplina, totalmente ignoti alle strutture sportive. «I controlli devono parlarsi tra loro, manca comunicazione tra soggetto che opera il rilascio e controllo di chi ha l’arma, o che non dovrebbe averla. I certificati medici valgono cinque anni quindi intervenire prima non si può. Come Silp siamo contro la proliferazione delle armi al contrario di qualche politico che la ritiene un bene». 

Nel 2015, dopo l’attentato al Bataclan, il “decreto antiterrorismo” approvato dal governo Renzi, su proposta dei vertici europei, aveva introdotto forti limitazioni, riducendo a sei il numero di “armi sportive” da possedere. Restrizioni poi cancellate nel 2018, con le modifiche volute dalla Lega, appoggiata dal M5S, e dal leader Matteo Salvini che nello stesso anno, all’Hit Show, una fiera di armi e caccia, aveva siglato un accordo con il Comitato Direttiva 477 (oggi Unarmi), una lobby pro-armi, per ridurre gli effetti della direttiva europea. Per cui le armi sportive sono passate da sei a 12, e non c’è nessun obbligo di avvisare i propri conviventi maggiorenni di possedere armi. Spesso le donne uccise non sapevano neanche ci fosse un’arma in dimora, e quando lo sanno, questo rende ancora più difficile denunciare. 

La proposta del Pd 

A risolvere una parte di queste problematiche ci pensa una legge portata alla Camera da Walter Verini, deputato Pd e componente delle commissioni Giustizia e Antimafia, con firme di deputati Pd, M5s, Iv e Leu. Presentata nell’aprile 2018, la proposta è tornata nel dibattito pubblico dopo la sparatoria di Voghera, in cui l’assessore della Lega Massimo Adriatici ha ucciso un 39enne di origine marocchina, Youns El Boussettaoui, e l’operazione di polizia contro un gruppo no-vax su Telegram. Tra “I guerrieri”, così registrati sul social, è stato arrestato, tra gli altri, Stefano Morandini, detentore di regolare licenza per uso sportivo, che annunciava l’uso di armi, lacrimogeni, molotov e di un drone esplosivo da fare cadere sulla Camera. 

Il testo del progetto di legge, composto da quattro articoli, prevede che sia una commissione medica a rilasciare un certificato di idoneità psicofisica alla richiesta e al rinnovo del porto d’armi, con revoca per “segni anche iniziali di disturbi psico-comportamentali”. Inoltre sarebbe aggiunto l’obbligo di comunicazione ai familiari. Nei casi di femminicidio questo è importante, molte donne uccise non sapevano che il partner o ex possedeva un’arma. 

«La ratio è meno armi ci sono in giro, più sicurezza c’è. Questa proposta può essere un deterrente alla loro diffusione. I controlli saranno fatti da commissioni multidisciplinari, in cui ci siano più specializzazioni mediche, ogni anno: vogliamo avere le massime garanzie possibili, chi ha un’arma deve essere nel suo equilibrio», commenta Verini. «In relazione ai femminicidi prevede un’importante norma: comunicando a familiari, congiunti, anche ex mogli o compagne, di sapere se il loro precedente partner è in possesso di un’arma o la richiede. Un gran contributo per le donne colpite dai propri “padroni”». Il testo che dovrà essere discusso e quindi andare incontro a modifiche, è considerato troppo debole da alcune associazioni, visto che la comunicazione non riguarda le armi per uso sportivo, una delle licenze più diffuse. 

Il Ministero dell’Interno ha promesso una banca dati che si potrebbe incrociare con altre informazioni già in possesso, come le denunce per stalking, e permettere di avvertire le donne del pericolo. Lo stesso vale per le armi delle ex forze dell’ordine o delle guardie giurate, spesso non restituite, rimangono in una zona grigia. 



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di Rita Rapisardi
espresso.repubblica.it
2021-09-28 07:21:00 ,

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