In un articolo accessibile ai soli abbonati su Telegraph, l’ex membro della camera dei Lord britannica Matt Ridley racconta la teoria del nuovo Coronavirus sfuggito da un laboratorio dell’Istituto di virologia di Wuhan, e di un complotto di scienziati volto a insabbiare tutto. «Nonostante istruissero il resto di noi a “seguire la scienza” – spiega l’autore -, è uno scandalo». Tutta la narrazione si basa su delle email, rese pubbliche l’anno scorso grazie al Freedom of Information Act, dove «Sir Jeremy Farrar del Wellcome Trust, Sir Patrick Vallance, […] il dottor Anthony Fauci e il dottor Francis Collin», oltre a «un gruppo di virologi» non meglio identificati, avrebbero sostenuto l’origine artificiale del virus. Inoltre nel genoma vi sarebbe un frammento, che renderebbe SARS-CoV-2 altamente infettivo, suggerendo una ingegnerizzazione. Si tratta del «sito di clivaggio della furina». Ma come è noto ormai da tempo, questa narrazione è vecchia quanto priva di fondamento, perché quella porzione di codice si trovava naturalmente già in altri Coronavirus.
Il “fascino” dell’origine artificiale
L’idea che possano esservi indizi di una manipolazione di laboratorio finita male è piuttosto affascinante, anche tra gli scienziati italiani (ne avevamo trattato qui e qui). Prima ancora non sono mancate le ambigue dichiarazioni di Anthony Fauci, dovute alle reticenze da parte di Pechino nel concedere accesso ai suoi laboratori. Queste cose accadono perché si perde spesso la dimensione multi-disciplinare della scienza. Infatti se si consultano dei genetisti, come l’esperto di genomica comparata Marco Gerdol dell’università di Trieste, scopriamo subito che gli indizi in oggetto non sono la prova che SARS-CoV-2 sia frutto di manipolazioni genetiche. Non è un caso se a contestare tecnicamente l’articolo di Ridley è stata una ricercatrice che di mutazioni dovute alla selezione naturale se ne dovrebbe intendere: la biologa evoluzionista Flo Débarre.
Cos’è il sito di clivaggio della furina
Come emerso nel giugno 2020, la proteina Spike che permette a SARS-CoV-2 di legarsi ai recettori ACE2 delle cellule presenta una mutazione che rende il virus maggiormente capace di infettare, ben visibile nel genoma virale in una porzione nota come «sito di clivaggio della furina».
La rivista Nature segnala in particolare due studi preprint. Si tratta delle ricerche condotte dai team di Giuseppe Balistreri e Mikael Simons, e di Yohei Yamauchi e Peter Cullen – spiegavamo in un articolo dell’epoca -. […] «Abbiamo scoperto – Proseguono gli autori – che il recettore cellulare neuropilina-1 (NRP1), noto per legare i substrati sottoposti a scissione da parte della furina, potenzia significativamente l’infettività di SARS-CoV-2. […] Questa interazione migliora l’infezione da SARS-CoV-2 nella coltura cellulare. NRP1 funge quindi da fattore d’accoglienza per l’infezione da SARS-CoV-2 e fornisce un obiettivo terapeutico per COVID-19».
Le ragioni per cui i genetisti non avevano gridato allo scandalo parlando di una prova di manipolazione, ce le spiegò il già citato Gerdol in una precedente intervista che suggeriamo di recuperare nella sua interezza:
Queste cose mi fanno cascare le braccia – continua il Genetista – adesso sarebbe una novità? Il sito di clivaggio della furina è noto da tempo, lo abbiamo trovato fin da subito, perché è stato identificato come potenziale causa dell’infezione da uomo a uomo. Di fatto tutti i Coronavirus hanno un sito di clivaggio in quella posizione. Anche se non in tutti il taglio è adoperato dalla furina. […] Qui si parla in particolare dell’acquisizione di un taglio furinico, che effettivamente espande il range dei potenziali ospiti del virus, che dai pipistrelli può saltare in altri animali. Tutto questo viene presentato invece come fondamentale per garantire esclusivamente l’infettività nell’uomo. Non è vero. Innanzitutto se andiamo a prendere i Coronavirus umani, due su quattro hanno il taglio furinico. Sicuramente non lo aveva SARS-CoV-1, quello dell’epidemia di Sars del 2003, mentre lo aveva MERS-CoV, responsabile dell’epidemia di Mers del 2012. Insomma, non è fondamentale per permettere al virus di infettare le cellule umane.
Eppure Ridley afferma a un certo punto che fosse nota l’abitudine da parte dei ricercatori di Wuhan, di inserire siti di clivaggio della furina in altri virus. Débarre ha risposto a tali affermazioni rivolgendosi direttamente all’autore, chiedendo lumi sul modo in cui il Telegraph avrebbe verificato le fonti (il grassetto è nostro):
Sa qual è il vero scandalo, Matt Ridley ? È il fatto che il Telegraph consenta di pubblicare questo testo senza un precedente fact-checking. Quasi ogni paragrafo non è corretto. […] Lei scrive che il laboratorio di Wuhan aveva esperienza nel mettere “siti di clivaggio della furina” in “altri virus”. Purtroppo, il Telegraph ha dimenticato di inserire un link alla fonte. Potrebbe specificare cosa aveva in mente?
L’eMail Leak sulle origini del virus
Ridley cita uno scandalo avvenuto quando venne reso pubblico un Pdf di oltre tremila pagine contenente la corrispondenza eMail di Fauci (ne avevamo trattato qui). Fece particolare scalpore il fatto che alcuni autori dello studio di Nature, The Proximal Origin of SARS-CoV-2, avessero espresso a Fauci l’idea che il virus fosse frutto di manipolazione genetica. Parliamo del primo paper a ritenere più probabile l’origine naturale del SARS-CoV-2, basato su una prima ricostruzione genetica delle origini. Premettiamo che non è stato l’unico studio a certificare l’origine naturale. Ne seguirono altri che ricostruirono una prima “genealogia” del virus. Per arrivare ai due articoli più recenti, che hanno studiato l’epicentro dei primi casi a Wuhan.
Infatti le eMail in oggetto dimostrano soltanto che la teoria della creazione in laboratorio non è stata scartata a priori, mentre veniva presa inizialmente sul serio dagli stessi autori dello studio di Nature, i quali dovettero poi fare i conti coi dati reali, che mostrano una ben più probabile origine naturale. Del resto che una zoonosi potesse originare in un mercato dell’Est era una eventualità su cui si ragionava da almeno un decennio. Lo stesso divulgatore David Quammen fece questa previsione nel 2012, riportandola nel suo bestseller Spillover.
Gli studi sui Coronavirus del Pangolino
Ma stando alla narrazione di Ridley, lo studio di Nature sembra l’unico degno di nota ad aver condizionato l’intera Comunità scientifica. Ad aver fatto cambiare idea ai ricercatori, accantonando l’ipotesi dell’origine artificiale non vi sarebbero le successive evidenze (di cui in questa analisi citiamo una minima parte), bensì uno studio poi rivelatosi impreciso riguardo al Pangolino, originariamente ritenuto l’ospite intermedio prima dello spillover. Questo perché la South China Agricultural University aveva annunciato il ritrovamento di un genoma di Coronavirus di questo animale identico al 99% al SARS-CoV-2. La fonte viene effettivamente citata nel paper di Nature.
Ma l’affermazione del 99% era imprecisa – continua Ridley -. Quando i dati effettivi sul pangolino sono stati rilasciati il 17 febbraio, hanno raccontato una storia diversa: solo il 90% di somiglianza e nessun sito di taglio della furina. Quindi il virus del pangolino non poteva sostenere l’argomento secondo cui il sito della furina in Sars-CoV-2 era naturale. Eppure quello stesso giorno i virologi hanno pubblicato su Internet la nuova versione del loro documento, respingendo fortemente ogni possibilità di fuga di dati dal laboratorio e citando ripetutamente il virus del pangolino.
A parte il fatto che – come già accennato -, non abbiamo bisogno del Pangolino per trovare quella porzione genetica nella famiglia dei Coronavirus, Ridley stravolge totalmente il senso della citazione di Nature.
L’affermazione (incorretta) sul 99% non è la ragione per cui il Coronavirus del pangolino è citato nel paper! – spiega Débarre -, è citato a causa del suo dominio di legame al recettore (RBD), che è molto simile a quello di SARS-CoV-2, e non a causa della falsa affermazione del 99% fatta da un altro gruppo.
La collaborazione tra Ridley e Alina Chan
Seguendo un precedente articolo del Telegraph citato dallo stesso Ridley, notiamo che quest’ultimo è stato autore, assieme ad Alina Chan, di un libro intitolato Viral: The Search for the Origin of COVID-19 (di cui suggeriamo la recensione del The Guardian), sulla possibilità che la pandemia sia stata causata da dei «virologi pasticcioni in Cina». Per la precisione ricordiamo che la “pasticciona” non poteva che essere Shi Zhengli, “rea” di essere stata una dei pochi scienziati che si sono interessati del pericolo spillover, facendo scoperte che hanno contribuito a realizzare i immunizzazioni Covid in un lasso di tempo relativamente breve. Del fango mediatico a cui è stata sottoposta la Virologa cinese abbiamo trattato qui e qui. Sua è stata la scoperta di RaTG13 (e di un primo identico genoma frammentario: RaBtCoV/4991), il Coronavirus citato nello studio di Nature (assieme a quelli del pangolino) come il più prossimo a SARS-CoV-2.
Ridley è noto per le sue precedenti posizioni negazioniste del cambiamento climatico (potete approfondire qui e qui). La dottoressa Alina Chan è stata invece co-autrice di una lettera apparsa su Science di cui avevamo trattato in una precedente analisi, dove si chiedevano maggiori indagini sull’origine di SARS-CoV-2. Chan è anche una estimatrice dello Yan Report, sponsorizzato da Steve Bannon, dove RaTG13 diventa una sorta di prototipo del nuovo Coronavirus; tesi sostenuta anche da Chan, la quale suggerisce che la doppia classificazione BtCoV/4991 e RaTG13 sia indizio di un tentativo di insabbiamento:
Sia Chan che Ridley non hanno mai avanzato prove concrete a dimostrazione delle proprie ipotesi. Appare anzi evidente che abbiano fatto cherry picking, ovvero, selezionato solo gli indizi che meglio si sposano con la propria visione, trascurando la mole di dati che la confutano.
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Scritto da Juanne Pili perwww.open.online il 2022-11-30 09:43:07 ,