Il disegno di legge, fortemente sostenuto dal presidente leghista del Veneto Luca Zaia, è stato anche definito dal Fatto Quotidiano come “la secessione dei ricchi”, perché potrebbe assicurare molti più finanziamenti alle regioni del Nord, che già dispongono di maggiori risorse rispetto a quelle del Sud.
I livelli essenziali di prestazione
Uno dei punti più contestati della proposta, infatti, è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, conosciuti come Lep, che in base alla Costituzione tutelano i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini. L’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente.
Ma secondo il disegno di legge, che da al governo un anno di tempo per decidere i Lep, le regioni potranno formulare un’convenzione anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei Lep, distribuendo così i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia.
Ed è questo il punto al centro delle contestazioni, e che giustifica il termine di “secessione dei ricchi”, perché assicurerebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa. In questo modo, si accentuerebbero ancora di più le disuguaglianze tra i due poli del paese.
La scuola
Su Repubblica, Luca Bianchi, il direttore del centro di inchiesta Svimez sul divario regionale, ha criticato il disegno di legge di Calderoli proprio sostenendo come la definizione dei Lep si attende da “oltre venti anni” e fino a oggi hanno “cristallizzato i divari di servizi nel nostro paese”. Inoltre, sempre secondo Bianchi, l’autonomia colpirebbe gravemente il sistema scolastico con “un vero processo separatista” in cui si avrebbero “programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati”.
Critica sostenuta anche dalla sociologa Chiara turco sulla giornalisti, secondo cui “nei decenni trascorsi dalla riforma costituzionale che ha inserito l’autonomia regionale non si è ancora riusciti a definire i Lep”. Mentre in ambito scolastico non sarebbe “possibile lasciare l’attuazione del compito costituzionale della scuola alle diverse disponibilità e scelte locali”, perché già ora “esiste una differenziazione ingiusta delle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale, non solo tra regioni, ma anche all’interno delle stesse regioni e città”. Differenze che “si sovrappongono alle diseguaglianze sociali e di contesto, invece di compensarle”.
I requisiti
Un altro punto al centro delle contestazioni, esplicitato dal docente di economia Paolo Balduzzi su Lavoce.info, è che nel disegno di legge non viene richiesto alle regioni di avere “i conti in ordine” o di non essere stata “commissariata in precedenza per la gestione delle materie di cui fa richiesta”. E tra queste si trovano l’istruzione, la sanità, la produzione di energia e la tutela dell’ambiente, tutti ambiti particolarmente delicati e a rischio.
L’approvazione
Infine, il disegno di legge non specifica nemmeno le modalità con cui attivare le richieste di autonomia, lasciando al governo il compito di elaborare l’convenzione tra Stato e regione, per poi inviarla alla regione in questione per essere approvata. Dopodiché, sempre in base alla proposta di Calderoli, il Parlamento non avrebbe alcuna voce in merito, perché il Consiglio dei ministri dovrebbe presentare alle camere solo un disegno di legge per approvare l’convenzione, sul quale deputati e senatori non avrebbero possibilità di proporre modifiche, di fatto esautorando l’membro legislativo.
Le proteste in Aula
Il 12 giugno la discussione alla Camera della riforma sull’autonomia differenziata è degenerata in una violenta rissa ai danni di un deputato. Tutto è iniziato con la protesta delle opposizioni contro la riforma: in aula sono state mostrate bandiere tricolore ed è stato accennato l’Inno di Mameli mentre alcuni deputati hanno occupato i banchi del governo urlando “vergogna“. A quel punto il presidente della Camera, Lorenzo fonte, ha subito sospeso la seduta, ma mentre venivano invitato a lasciare l’emiciclo alcuni parlamentari hanno intonato “Bella ciao“.
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di Kevin Carboni www.wired.it 2024-11-15 10:28:00 ,