La nuova direttiva sulla parità di stipendi e sulla trasparenza retributiva negli annunci di lavoro (2023 del 970), approvata dal Parlamento europeo il 30 marzo scorso e pubblicata a maggio sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, renderà obbligatoria per le aziende che cercano nuove risorse l’indicazione della Ral (cioè la retribuzione annua lorda) direttamente nelle offerte entro i prossimi tre anni. Come testimoniano molte inchieste e l’esperienza quotidiana, in Italia chiedere lo stipendio a un colloquio è quasi un sacrilegio. Ma per una volta questo ci accomuna a molti vicini europei: anche altrove non è un’abitudine.
Reverse, azienda internazionale specializzata in risorse umane e recruiting, ha condotto un’indagine su un campione di 50 annunci di lavoro per ogni stato in cui opera: Italia, Spagna, Francia e Germania. Gli annunci selezionati presentano tutti un livello esperienza medio. Dall’approfondimento è emerso che, almeno in questo caso, chi cerca lavoro si scontra con situazioni molto simili: se, infatti, degli annunci presi a campione per l’Italia, solo il 4% riporta la retribuzione, la stessa percentuale la si ritrova in Spagna. Leggermente più virtuosa la Francia, che presenta la Ral ben chiara solo nel 6% degli annunci selezionati, mentre il fanalino di coda è rappresentato dalla Germania, in cui l’indicazione del salario non è presente in nessuno degli annunci analizzati.
“In Italia siamo abituati a pensare che tutto il resto del mondo sia meglio di noi, almeno dal punto di vista economico e lavorativo – commenta Daniele Bacchi, ad e co-ideatore di Reverse -. In realtà la nostra percezione è spesso distorta. Abbiamo voluto condurre questa indagine proprio per dimostrare, attraverso i dati, che la trasparenza salariale è purtroppo una questione delicata e importante che interessa tutta Europa e non solo il nostro paese”.
Cosa prevede la direttiva europea
La nuova direttiva sulla parità salariale parte da un (triste) presupposto: nell’Unione le donne, a parità di ruolo, guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. Un gap che per esempio in termini pensionistici finisce per tradursi in una differenza di quasi il 30%. Questo divario è causato in gran parte anche dal segreto retributivo, ossia dalla mancata dichiarazione della retribuzione all’interno degli annunci di lavoro che è sicuramente il punto introdotto dalla normativa di cui più si sta discutendo. Il compenso dev’essere chiaro fin dall’inizio proprio perché dev’essere uguale per tutte e tutti.
La normativa prevede anche il divieto per le aziende di chiedere ai candidati, in nessuna fase della selezione, la Ral precedente, evitando così che possa essere presa come soglia di riferimento per un’offerta verso il basso. Non basta: chi si occupa di selezione e recruiting dovrà fare in modo che sia le offerte sia i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio.
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di Simone Cosimi www.wired.it 2023-06-28 05:00:00 ,