Il lavoro minorile, in Italia, è un fenomeno che riguarda un minore su 15 nell’età compresa tra i 7 e i 15 anni. La stima arriva da Non è un gioco, rapporto realizzato da Save the Children a dieci anni dall’ultima indagine italiana su questo tema. Presentato nella mattina del 4 aprile a Roma, il report contiene un’indagine qualitativa e i risultati di uno studio quantitativo condotto su un campione rappresentativo della cittadinanza di studenti iscritti al biennio della secondaria di primo grado. In totale, tra il dicembre 2022 ed il febbraio di quest’anno sono state raccolte le risposte di 2.080 tra ragazzi e ragazze di età compresa tra i 14 e i 15 anni, residenti in 15 province italiane ed iscritti in 72 diverse scuole. Ecco i risultati.
Chi sono i minori che lavorano
Detto che con l’aumento dell’obbligo scolastico, introdotto dalla legge 296 del 2006, in Italia è illegale lavorare prima dei 16 anni, tre quarti dei ragazzi e delle ragazze che hanno dichiarato di aver lavorato lo ha fatto avendo compiuto almeno 13 anni. Ma c’è un 6,6% che afferma di aver svolto un’attività lavorativa prima degli 11 anni.
Il settore che assorbe la quota più alta di lavoro minorile illegale è quello legato alla ristorazione e alle attività ricettive. Il 25,9% dei ragazzi e delle ragazze che hanno dichiarato di aver svolto un’attività lavorativa ha detto di averlo fatto nei settori del grafico sottostante.
Da sottolineare che c’è un 5,7% che dichiara di lavorare online. Questi giovani svolgono attività come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Nel periodo in cui ha lavorato, più di uno su quattro di questi minori lo ha fatto tutti i giorni.
Il 17,5% dei soggetti coinvolti in episodi di lavoro minorile ha dichiarato come questa attività li abbia impegnati per almeno 7 ore al giorno. Un’altra quota, pari al 30,5%, ha affermato di aver lavorato tra le 4 e le 7 ore al giorno.
Il ruolo delle famiglie
Ma come si pongono i genitori di fronte al lavoro minorile dei propri figli? Secondo le risposte degli studenti coinvolti nell’indagine di Save the Children, sono proprio loro a procurarglielo. O almeno questo ha risposto il 48% di chi ha compilato il questionario.
E se il 56,3% dei minori che ha dichiarato di aver lavorato afferma di averlo fatto per avere del denaro a disposizione per le proprie necessità, un 32,6% sostiene che la propria attività lavorativa serviva ad aiutare i genitori.
Rispetto a questi numeri, è bene sottolineare che il tasso di rifiuti a rispondere al questionario è stato più alto nei licei. Il che, si legge nel rapporto, “può aver prodotto una sovrastima dei
14-15enni lavoratori, che si assumono presenti maggiormente nelle altre tipologie di scuole”.
C’è poi un ulteriore tema, che potrebbe aver condotto a una sottostima del fenomeno. I minori che lavorano, infatti, difficilmente frequentano la scuola. Eppure è proprio lì che è stato somministrato il questionario. Una scelta, questa, legata al tentativo di allineare la metodologia di ricerca a quella seguita nel 2013, così da permettere di stimare l’evoluzione del fenomeno. Ma per ridurre il rischio di sottostimarlo, Save the Children ha cercato di raggiungere anche gli iscritti non frequentanti, chiedendo loro di rispondere al questionario.
Le conseguenze a livello scolastico
Il rapporto dedicato da Save the Children al lavoro minorile evidenzia infine una correlazione tra quest’ultimo e la dispersione scolastica. Da un lato, è vero che il 52,3% degli studenti che lavora afferma di riuscire a conciliare senza problemi le due attività. Ma c’è anche un 14% di intervistati che ha affermato che, quando lavorava, non studiava.
Non solo. Se si guarda alla percentuale di chi è stato bocciato o, peggio, ha scelto di abbandonare gli studi, si nota che è più elevata tra coloro che hanno avuto esperienze lavorative rispetto a quanti invece non avevano mai lavorato.
Le proposte di Save the Children
“Chiediamo un’azione istituzionale coordinata che innanzitutto rilevi in modo sistematico la consistenza del fenomeno nei diversi territori e metta in atto misure volte a prevenirlo”, afferma in una nota Raffaela Milano, direttrice del Programma Italia-Eu di Save the Children. Attività che deve coinvolgere Istat, ma anche la Commissione bicamerale per l’infanzia “della quale si attende la nomina in parlamento”.
Occorre poi, prosegue Milano, che “venga elaborato da parte dei Comuni un programma operativo di prevenzione e contrasto del lavoro minorile e della dispersione scolastica e che sia assicurato un sistema di presa in carico a livello territoriale dei minori infrasedicenni che lavorano e del loro nucleo familiare, per garantire un percorso di protezione dallo sfruttamento, reinserimento e riorientamento”.
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di Riccardo Saporiti www.wired.it 2023-04-04 10:19:25 ,