“Perché è scomparso il piacere della lentezza?”, si chiedeva Milan Kundera nel suo romanzo La lenteur pubblicato nel 1995. Forse perché, come asseriva lo scrittore ceco, nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività e la velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo. È un paradosso insidioso: non c’è nulla di più complesso e contro-intuitivo del lasciare spazio all’inerzia, dell’accettare l’ozio in un mondo che misura il nostro valore nel solo atto di produrre. In ogni secondo, siamo rapiti, dirottati, gestiti come risorse economiche da un universo tecnologico che si appropria del nostro tempo e delle nostre attenzioni.
Anche lo svago è misurabile, calcolabile, l’interazione si frantuma in formule algoritmiche e ognuno di noi si fa curatore della propria immagine, costantemente impegnato nel racconto e nella rappresentazione di sé. Alcuni sentono un brivido (di efficienza) nell’proferire la propria vita in streaming perpetuo, un flusso continuo di contenuti. Però, come scrive Jenny Odell, scrittrice e docente alla Stanford University, nel suo saggio Come non fare niente – Resistere all’economia dell’attenzione, “Permane una certa nervosa sensazione di essere sovrastimolati e incapaci di sostenere un flusso di pensieri”.
C’è un affanno che serpeggia, un’inquietudine che attraversa i lavoratori del nostro tempo, un fardello invisibile che Celeste Headlee evoca con cruda lucidità nel suo Do Nothing: “Siamo sovraccarichi di lavoro e di stress, costantemente insoddisfatti e orientati verso un’asticella che continua ad alzarsi sempre di più”. Se la pandemia ha accelerato questo processo, non è stata però l’origine; ha piuttosto portato alla luce le ombre di una società che, nell’ossessione di produrre sempre di più, si è spinta ben oltre il limite di tolleranza. Risposte più rapide, impegni più numerosi, tempi sempre più ristretti.
Il potere della slow productivity
Però esistono modalità di produttività alternative. Modalità che prosperano in una miscellanea di proposte per una produttività lenta, una filosofia che promuove un approccio al lavoro intellettuale più sostenibile e fondato su tre principi cardine: fare meno, lavorare a un ritmo naturale ed essere ossessionati dalla qualità. Filosofia elaborata da Cal Newport, celebre autore di Minimalismo Digitale e stimato docente di informatica presso la Georgetown University, nel suo saggio Slow Productivity (Roi Edizioni), in cui l’autore statunitense si pone due obiettivi: aiutare il maggior numero possibile di persone a liberarsi dalla morsa disumanizzante della pseudo-produttività ed elaborare un modello alternativo che non comporti la rinuncia dell’ambizione. Cal Newport descrive come sia non solo possibile, ma necessario, raggiungere una realizzazione personale e professionale senza cadere nel burnout. Secondo Newport, il lavoro intellettuale può essere salvato dal ritmo frenetico e insostenibile che lo caratterizza oggi, trasformandolo in un’attività più sostenibile e umana. Come?
Per esempio riducendo i propri impegni fino al punto in cui risulta possibile non solo immaginarne il compimento, ma anche lasciare spazio al tempo libero: è questa l’essenza di una produttività consapevole che affonda le sue radici nella scelta accurata dei progetti davvero rilevanti. Per l’autore, confondere “fare meno” con il concetto di “produrre meno” è un errore comune e fuorviante. In realtà, una lista piena fino all’orlo o, al contrario, essenziale, influenza poco il numero di ore settimanali spese a lavorare. La differenza risiede nella qualità e nell’efficacia di tali ore, che variano a seconda dell’intensità e della selettività delle attività intraprese.
Perché è decisivo questa scelta? Non solo per risparmiare l’esaurimento che deriva dal sovraccarico, ma anche per migliorare la propria forza creativa e produttiva. Dedicarci in modo esclusivo a pochi e selezionati lavori permette di adunare attenzione e creatività, evitando la dispersione e portando ogni compito a una conclusione reale e tangibile prima di passare al successivo.
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di Lucia Tedesco www.wired.it 2024-12-29 05:40:00 ,