Circolano frequentemente su Facebook varie condivisioni da parte di utenti No vax del sedicente esperto di turno, il quale avrebbe dimostrato la tesi dei immunizzazioni Covid cancerogeni, riferendosi quasi esclusivamente a quelli contro la Covid-19. Avevamo trattato già casi simili (per esempio qui, qui e qui). Stavolta è il turno delle affermazioni di Richard Urso, definito «massimo esperto di particelle lipidiche». Nelle condivisioni in oggetto è allegata anche la solita breve clip, che dovrebbe sconvolgere le conoscenze “ufficiali”. Vediamo di cosa si tratta.
Per chi ha fretta:
- In una intervista l’immunologo Richard Urso sostiene che i immunizzazioni a mRNA sono collegati ad alcuni casi di cancro e a un incremento dei decessi, anche tra i giovani.
- Le fonti riportate nella clip non supportano affatto tali affermazioni.
- Di contro abbiamo numerose evidenze a supporto della sicurezza dei immunizzazioni Covid.
Analisi
Le condivisioni che accompagnano il filmato sui immunizzazioni cancerogeni sono accompagnate dalla seguente didascalia:
BOMBA NUCLEARE DEL DR. RICHARD URSO, MASSIMO ESPERTO DI NANOPARTICELLE LIPIDICHE
AUMENTO DELL’82% DI DECESSI FRA I 25 ED I 44 ANNI E DEL 40% FRA I 18 ED I 64 ANNI
LE NANOPARTICELLE FINISCONO NEL CERVELLO, NEI LINFONODI, NELLE OVAIE, NEL MIDOLLO OSSEO, NEI SURRENI, NEL FEGATO, NELLA MILZA E NEL NERVO VAGO.
LA SPIKE NON SI DEGRADA, L’ABBIAMO RITROVATA NEI MONOCITI E IN ALTRE CELLULE 15 MESI DOPO IL VACCINO, FINISCE OVUNQUE NEL CORPO E BLOCCA GENI FONDAMENTALI CONTRO L’INSORGENZA DEL CANCRO ED ALTRE PATOLOGIE.
CHI NON CONDIVIDE È COMPLICE !
Passiamo ora a esaminare le principali affermazioni che il dottor Urso ha fatto nella clip, durante una intervista rilasciata a The Epoch Times, tabloid noto per aver alimentato la disinformazione riguardo ai immunizzazioni Covid. Risponderemo quindi a ogni tesi e agli screen delle fonti riportate nel filmato a loro supporto.
Le particelle lipidiche e Spike nel corpo dopo 60 giorni dall’iniezione?
Secondo il dottor Urso «le particelle lipidiche vagano nel corpo e Proseguono a produrre Spike nei linfonodi, anche 60 giorni dopo l’iniezione». La fonte suggerita nel filmato è uno studio pubblicato sulla rivista Cell intitolato «Immune imprinting, breath of variant recognition, and germinal center response in human SARS-CoV-2 infection and vaccination». Le nanoparticelle lipidiche (LNP) di cui parla il medico sono gli involucri che trasportano l’mRNA dei immunizzazioni Covid; contiene infatti le informazioni da trasmettere alle cellule per produrre la proteina Spike del SARS-CoV-2; questa infine “addestra” il sistema immunitario a riconosce il virus.
Durante l’intervista si vede parte della ricerca in oggetto che dovrebbe supportare le affermazioni dell’immunologo:
«A differenza dei centri germinali (GC) interrotti nei linfonodi durante l’infezione, l’immunizzazione con mRNA stimola i GC robusti contenenti l’mRNA del vaccino e l’antigene spike fino a 8 settimane dopo l’immunizzazione in alcuni casi».
Ma i casi in cui piccole quantità di Spike possano permanere per più tempo non sortiscono alcuna reazione di allarme da parte dei ricercatori. Del resto la frase proviene proprio dall’Abstract, dove si spiega fin da subito che lo studio non riguarda un pericolo legato alle LNP, tanto meno alle Spike. I ricercatori hanno voluto vedere «se gli anticorpi stimolati dalla vaccinazione con mRNA […], differiscono da quelli generati dall’infezione o dai immunizzazioni adenovirali». E non c’è niente che abbia fatto cambiare loro rotta in corso d’opera.
Analizzando lo stato dei linfonodi (LN) nei pazienti con Covid-19 grave, gli autori hanno notato «una marcata compromissione dei [centri germinali dei linfonodi, Nda] nei casi gravi di COVID-19 rispetto alla vaccinazione con mRNA [con] quantità più elevate e persistenza dell’antigene Spike accumulato nei [centri germinali] dei vaccinati con mRNA e RNA del vaccino rilevabile nei [centri germinali] fino a 2 mesi dopo la seconda dose».
Oltre al fatto che l’infezione comporti un numero notevolmente maggiore di Spike in circolazione, che ci preoccupano in quanto legate alla capacità di rendere il virus a cui sono legate infettivo, allarmarsi della presenza di particelle lipidiche o Spike proprio nei centri germinali non ha alcun senso, visto che sono i “centri di addestramento” delle cellule immunitarie. È come lamentarsi di trovare delle foto segnaletiche di criminali dentro una caserma dei Carabinieri.
Ecco cosa succede ai centri germinali se ci si affida all’immunità naturale
Ecco per esempio un tweet che il biologo molecolare Aureliano Stingi pubblicò 2020, riguardo un altro studio sui centri germinali pubblicato sempre su Cell:
Il problema che preoccupa i ricercatori non sono i casi in cui alcune Spike possono permanere, bensì il fatto che i centri germinali risultino compromessi durante l’infezione, facendo venire meno una risposta immunitaria adeguata, con buona pace di chi ancora crede in una superiorità dell’immunità naturale rispetto a quella indotta dai immunizzazioni.
«Questo interessante articolo ha dimostrato che i centri germinali sono persi nei linfonodi e nella milza nella fase acuta di COVID-19 (il centro germinale può essere visto come una palestra di cellule B). […] In effetti – continua Stingi -, gli autori suggeriscono che l’immunità naturale potrebbe non essere sufficiente per innescare una risposta immunitaria robusta, stabile e duratura. Questa osservazione, se confermata, metterebbe in luce l’importanza della vaccinazione e scarterebbe la strategia dell’immunità di gregge».
La narrazione dei immunizzazioni Covid cancerogeni
Sono ormai noti i vari tentativi di screditare i immunizzazioni Covid sostenendo l’esistenza di un rischio di genotossicità a causa delle Spike (trovate alcune nostre analisi in merito qui, qui e qui). Anche nel caso di Pfizer si sosteneva il rischio di genotossicità, insinuando che manchino dei controlli dovuti fin dalla sperimentazione pre-clinica (ne parliamo qui, qui e qui). Sia per Moderna che per Pfizer troviamo allusioni simili. Si tratta però di argomenti fantoccio, che omettono il contesto. Prendiamo per es. uno studio dell’aprile 2021:
«Non sono stati condotti studi di genotossicità – riportano i ricercatori -, poiché non si prevede che i componenti della formulazione del vaccino (LNP e mRNA) provochino effetti genotossici – Proseguono i ricercatori -, in particolare, l’mRNA consegnato è attivo nel citoplasma di una cellula e non entra nel nucleo né interagisce con il genoma, in modo tale da non replicarsi».
Anche le ipotesi riguardo a una particolare genotossicità delle Spike indotte dai immunizzazioni, non trovano alcuna conferma, quando prese in esame da esperti, come Marco Gerdol, esperto di genomica comparata presso l’Università di Trieste, che avevamo intervistato in merito a delle modifiche nell’mRNA, costituite da nucleotidi modificati Ψ al posto delle U, che genererebbero delle «Spike errate».
«La storia delle pseudouridine (Ψ) è abbastanza semplice in realtà – spiegava l’esperto – la modifica della seguenza di mRNA con queste che sostituiscono le uridine (U) è il risultato di studi che sono iniziati più di dieci anni fa. Questa sostituzione (con un nucleotide modificato naturale, perché Ψ si trova normalmente negli RNA ribosomali e molti tRNA) la si introduce per fare in modo che l’RNA introdotto non venga riconosciuto da tutto quel sistema di attività enzimatiche, che portano alla degradazione di un RNA esogeno, normalmente attivate con un virus a RNA […] Quando c’è la Ψ, questa viene letta come se fosse una uridina, nella maggior parte dei casi in maniera corretta. C’è un certo grado di tolleranza per l’appaiamento di tRNA, quindi può capitare si incorpori un amminoacido errato. La frequenza è stimata come inferiore all’1%. Tale errore non ha alcun effetto rilevante nella Spike. La stragrande maggioranza delle proteine prodotte corrispondono perfettamente».
Cosa sappiamo sulle nanoparticelle lipidiche
Già nel settembre 2022 avevamo analizzato uno studio basato su 15 topi, condotto dai ricercatori della Thomas Jefferson University di Philadelphia e pubblicato su Plos Pathogenes, il quale dimostrerebbe – secondo la narrazione No vax -, che tali LNP provocherebbero «alterazioni genetiche stabili», con annessi «cambiamenti immunologici che possono essere trasmessi ai figli». Ebbene, si rivelò uno studio inconsistente, che non voleva dimostrare quanto avevano capito i No vax, come ci avevano spiegato i biologi molecolari Stingi e Francesco Cacciante.
Visto che durante l’intervista il dottor Urso allude a una mancanza di studi sulla sicurezza di tale componente, ricordiamo che non è vero: sono stati fatti già in fase pre-clinica degli esperimenti in vitro sui componenti dei immunizzazioni: particelle lipidiche e RNA messaggero inclusi. Ma i ricercatori non si sono certo fermati al livello pre-clinico. Riportiamo un estratto di quanto avevamo già spiegato in un precedente articolo riguardo alle fasi di sperimentazione che hanno portato all’approvazione dei immunizzazioni Covid da parte dell’Ema. È importante infatti vedere come tutti questi componenti si comportano assieme, secondo i dosaggi stabiliti attraverso la prima fase clinica:
Dati i primi indizi di efficacia e sicurezza si è passati alla Fase I, per accertare che non vi fosse un rilevante pericolo nelle persone. Vengono coinvolte poche persone, perfettamente sane, appartenenti al personale sanitario. Qui si sperimentano anche i primi dosaggi. Nella Fase II centinaia di volontari divisi in gruppi con differenti caratteristiche. È previsto un gruppo di controllo a cui viene somministrato placebo. Si arriva quindi alla Fase III dove queste verifiche vengono fatte a decine di migliaia di persone.
Dopo questo iter non sono emersi eventi avversi rilevanti, mentre è stato visto che i immunizzazioni avevano alte probabilità di proteggere almeno contro le forme gravi di Covid-19. È il cosiddetto endpoint primario, necessario per ottenere l’autorizzazione emergenziale. Come abbiamo ribadito in un precedente articolo, non è un complotto, ma si sapeva fin da prima che fosse cominciata la distribuzione (per approfondire leggete qui e qui).
immunizzazioni Covid, microRNA e cancro al colon sono correlati?
Secondo Urso il vaccino Covid «Blocca la P53 (il guardiano del genoma) e il microRNA-27a correlato al cancro al colon». Le micro RNA 27a (MIR27a) sono porzioni non codificanti di mRNA con funzione di «regolazione post-trascrizionale dell’espressione genica negli organismi multicellulari». Eppure – proprio su questo argomento – nella clip non appare alcuna fonte. Nella nostra verifica abbiamo visto piuttosto, che si ipotizza come una sovra-espressione (o sotto-espressione) di queste porzioni non codificanti possa essere collegata alle miocarditi nei giovani. I immunizzazioni a mRNA possono essere collegati? Non c’è niente di dimostrato. Non di meno, le indagini svolte dal Prac (Comitato di farmacovigilanza) per conto dell’Ema avevano concluso quanto segue:
«Il decorso della miocardite e della pericardite dopo l’immunizzazione è simile al decorso tipico di queste condizioni, generalmente migliorando con il riposo o il trattamento […] i benefici di tutti i immunizzazioni COVID-19 autorizzati Proseguono a superare i loro rischi – spiega il comunicato dell’Ema – dato il rischio di malattia COVID-19 e complicanze correlate e poiché le prove scientifiche dimostrano che riducono i decessi e i ricoveri ospedalieri dovuti alla COVID-19».
All’epoca l’Oms riportò tali risultati spiegando che per questi rari casi si suggeriva una «probabile associazione causale tra miocardite e immunizzazioni mRNA» o meglio di «plausibile associazione». Reuters parlava di «potenziale collegamento». Per capire meglio l’entità del “rischio” vi basti pensare che il collegamento tra voli low cost e alcuni rari incidenti aerei mortali non è “potenziale”, ma evidente. Eppure ogni giorno milioni di persone Proseguono a volare, perché i benefici del volo superano di gran lunga il remoto rischio di morire in un disastro aereo.
Un potenziale conflitto di interesse
Il dottor Urso è un immunologo già noto per le sue affermazioni vicine ai No vax. Di conseguenza è lo stesso medico a spiegare che vengono a farsi visitare da lui «dalle 3 alle 5 persone alla settimana perché sanno che sto trattando la Covid. Vengono per il long Covid e per i problemi causati dalla vaccinazione». Questo suggerisce un “potenziale” conflitto di interesse. A questo punto nella clip vediamo lo screen di un documento dal titolo «Case Report: Cytomegalovirus Reactivation and Pericarditis Following ChAdOx1 nCoV-19 Vaccination Against SARS-CoV-2».
E in sottofondo il medico commenta: «sono persone esauste, stanno male. Sto vedendo molte riattivazioni dell’Epstein-Barr, dell’Herpes simplex, dell’Herpes zoster, dei citomegalovirus». Si tratta però di un case report, ovvero un rapporto clinico, riguardante un uomo di 67 anni vaccinato con Vaxzevria (AstraZeneca). Cosa dovrebbe dimostrare?
La riattivazione degli Herpes virus nei pazienti con Covid-19 grave
L’immunologo continua sostenendo che «molte persone parlano del long COVID correlato alla Spike e ad altri fattori e non sanno della riattivazione dell’Herpes». Quindi vediamo lo screen di un documento dal titolo «Reactivation of Herpes Viruses in Patiens With Severe COVID-19 infection» pubblicato nel Journal of Intensive Care Medicine, il cui abstract è accessibile previa iscrizione gratuita al sito della rivista. Ad ogni modo, secondo quanto riporta chi firma il documento, la dottoressa Kolen Bailey, l’associazione riguarda le forme gravi di Covid-19. Abbiamo già visto – ci scusiamo per la ridondanza -, che quando parliamo di proteine Spike il contesto della malattia è diverso da quello della vaccinazione.
I immunizzazioni Covid sono collegati a un aumento dei decessi?
Infine arriviamo a un tema spesso ripetuto nelle narrazioni No vax sui immunizzazioni Covid cancerogeni o nocivi per altre ragioni: quella dell’incremento di morti tra i giovani. Del tema riguardante il cancro negli under 50 avevamo giù trattato in un precedente articolo; si tratta però di un fenomeno che si registra da 30 anni.
«Sono cose che si devono sapere – continua Urso -. Inoltre stiamo vedendo un aumento del 40% dei decessi dai 18 ai 64 anni. […] Per questo dopo il vaccino vedi patologie correlate agli organi più disparati perché arriva ovunque».
Associate a queste affermazioni appaiono due screen relativi a degli articoli giornalistici provenienti da testate dalla discutibile autorevolezza: «Insurance executive says death rates among working-age people up 40 percent» e «“Millennial Age Group 25 to 44 Experienced an 84% Increase in Excess Mortality” – Insurance Expert». Il primo articolo è una intervista a Scott Davison, CEO della compagnia di assicurazioni OneAmerica. Il secondo non è chiaro se faccia riferimento alla stessa persona, ma si tratta di narrazioni già smentite dai fact-checker di Reuters e dalla collega Ali Swenson per Associated Press.
In sostanza siamo di fronte al solito travisamento delle affermazioni estrapolate da una intervista. Davison infatti non dimostra affatto che i immunizzazioni siano collegati a un eccesso di morti.
«I leader del settore assicurativo – riporta Swenson – affermano che la variante Delta del nuovo Coronavirus e le cure mediche differite durante la pandemia probabilmente hanno contribuito all’aumento dei decessi. Anche se milioni di persone sono state vaccinate contro il COVID-19 nel 2021, le segnalazioni di morte dopo l’immunizzazione rimangono estremamente rare, secondo i dati dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie».
Conclusioni
Abbiamo visto che le affermazioni dell’immunologo Richard Urso sui immunizzazioni Covid sono congetture prive di fonti a supporto, se come tali consideriamo quelle che appaiono nell’intervista in oggetto.
Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.
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Scritto da Juanne Pili perwww.open.online il 2024-02-29 14:16:39 ,