Mezzogiorno, 24 settembre 2022 – 09:04
di Paolo Macry
Domani notte si sapr quanti italiani hanno deposto la scheda nell’urna, chi ha vinto, chi ha perso. E quali scelte avr fatto quel terzo del paese che costituisce la sempiterna questione meridionale. Ma servir a qualcosa votare? O hanno ragione quelli che ripetono che tanto non cambier nulla, che i partiti sono tutti eguali, che un candidato vale l’altro? vero, le campagne elettorali sembrano spesso riti inutili, prevedibili, noiosi. E tuttavia c’ voto e voto, elezioni di scarso peso, elezioni di taglia epocale. Quello del 18 aprile 1948 non fu un voto qualunque, fu la scelta storica tra democrazia atlantica e comunismo orientale, segn il futuro del paese. In seguito, invece, e per decenni, il responso delle urne apparve non di rado ininfluente, il quadro politico era ingessato dall’impossibilit dell’alternanza, si votava sapendo gi chi avrebbe governato. E cos and fino alle elezioni del marzo 1994, un altro voto storico, quando la nascita del centrodestra restitu agli italiani la possibilit di scegliere tra opzioni contrapposte. Inizi la stagione del bipolarismo, le battaglie elettorali furono all’ultimo sangue, il vincitore prendeva tutto. Poi venne il momento di Grillo e il bipolarismo divent tripolarismo: le elezioni del 2018 furono un’altra svolta radicale, aprirono un quinquennio tra i pi complessi della storia repubblicana, facce nuove e vecchie volpi, nemici che diventavano alleati e viceversa, il trionfo del camaleontismo. Forse molti elettori si pentirono (cos dicevano i sondaggi), ma la scelta era fatta e il fragile parlamento del 2018 dovette affrontare la pandemia, la crisi economica e lo scoppio della guerra, per essere infine sciolto dopo l’avventuroso licenziamento di Mario Draghi. questo il contesto del voto di domani. E basta guardarsi attorno, dentro e fuori del paese, dentro e fuori del Mezzogiorno, per rendersi conto che non si tratta di un voto qualunque. Che si tratta al contrario di una scadenza in qualche misura epocale, visto che epocale la stagione che il mondo intero sta vivendo.
E pensare che l’esito delle urne italiane possa non esserne influenzato o possa non avere a sua volta un’influenza che travalica i confini nazionali, sarebbe, da parte degli elettori, un errore imperdonabile, un’ingenuit. Perch, piaccia o meno, sono molti e inestricabili i nodi che legano il futuro di questo paese alla grande crisi geopolitica, economica, sociale che soffia sulla gran parte del pianeta. Per quanto poco se ne sia parlato nei talkshow, gli elettori italiani — gli elettori meridionali, gli elettori napoletani — finiranno domani per esprimersi anche e soprattutto su questi nodi. Finiranno cio per dire la loro sul collasso degli approvvigionamenti energetici, sull’impennata dei prezzi al consumo, sull’ondata di chiusure che minaccia la manifattura europea, sulle prospettive infauste dell’occupazione, sull’impazzimento dei debiti sovrani, sullo svuotarsi delle casse degli stati. E finiranno per dire la loro, naturalmente, sulla guerra russa che fa strage in Ucraina, sul guanto di sfida lanciato all’Occidente dalle autocrazie di mezzo mondo. Per quanto singolare possa apparire, l’elettore di Benevento o di Caserta o di Chiaia o del Vomero voter su questi temi, che intrecciano concretamente locale e globale, che mischiano fatalmente il costo del pane del supermercato e la risposta armata ai missili di Putin, i risparmi del capofamiglia di Avellino e i profitti di Gazprom, le prospettive professionali degli studenti dell’Umberto e le scelte in materia di nucleare. Il mondo sempre pi uno. E sempre meno possibile prenderlo a pezzi.
Questa la posta in gioco sulla quale sono chiamati a esprimersi gli elettori. E il loro verdetto durer cinque anni o forse molto di pi, non lo spazio di un mattino. Dal voto dipenderanno le scelte del futuro governo italiano nel maneggiare una crisi strutturale che mette in forse la stessa sopravvivenza economica del paese. Se cio saranno politiche realistiche, finanziariamente compatibili, rigorose o invece vincer la demagogia dei deficit di bilancio, se prevarranno le riforme o il populismo, il Pnrr o lo scandalo dei soldi non spesi. Dal voto, non di meno, dipender il ruolo dell’Italia nella crisi europea, la sua capacit di imporsi con autorevolezza nella riscrittura delle regole di bilancio o il suo rintanarsi (come spesso accaduto) ai margini dei palazzi di Bruxelles. Dal voto, dal nostro voto, dipender perfino la postura del paese nel pi esteso e pericoloso conflitto geostrategico degli ultimi settant’anni, la sua capacit di essere consapevole dei doveri e dei sacrifici che talvolta la storia mette sul piatto dei decisori.
Come che sia, quali che siano le nostre opinioni, sono enormi e impellenti i nodi sui quali dovremo esprimerci domani. E non c’ italica bonomia, non c’ ironia partenopea che tenga. Il voto del 25 settembre 2022 passer alla storia. Certo, la scheda che ci verr consegnata riguarder un collegio pi o meno periferico e conterr i nomi di qualche decina di candidati. Ma questi non sono tempi normali. Bisogner sapere che stiamo scegliendo tra sviluppo e declino, tra innovazione e conservazione, tra volont e rinuncia. Alternative che appaiono tanto pi cruciali in un Mezzogiorno a cui, durante la campagna elettorale, spesso si sono rivolte le sirene del protezionismo pubblico, le seduzioni dell’assistenzialismo. Come se il suo futuro risiedesse soltanto nella cura (ovviamente indispensabile) delle fragilit sociali e non anche — e soprattutto — in una nuova volont di rompere le catene della demagogia, del pauperismo, del provincialismo, di sfidare con le proprie ambizioni le ombre del mondo attuale.
24 settembre 2022 | 09:04
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, 2022-09-24 07:04:16 ,