Il ruolo della donna nel cinema è in continua evoluzione, è specchio dei cambiamenti sociali e culturali, insiti nella natura umana. Vediamo quali interpretazioni femminili hanno dominato il panorama cinematografico e in che modo sono state delineate dai registi.
Nei primi lungometraggi la donna è soltanto un’appendice dell’uomo (amante, moglie, madre) oppure viene rappresentata come causa disturbante, fonte del peccato e del dissidio. Lo possiamo notare in film quali Aurora, Il vaso di Pandora o The wonderful lies of Nina Petrovna.
Poi arriva il periodo delle flapper girls nei ruggenti anni Venti, considerate il primo esempio di emancipazione femminile, bevevano alcolici, fumavano in pubblico, si intrattenevano fino a tarda notte ed erano sessualmente libere. Sono state, inoltre, le prime donne occidentali a portare i capelli corti alla maschietta e a mostrare le caviglie. Joan Crawford è l’attrice che più incarna questo stile di donna libera, che cerca di affermarsi nel lavoro e di ritagliarsi la propria indipendenza, non simboleggiando più la custode del focolare domestico. Alcuni esempi di pellicole che diffondono tale tipo di femminilità sono The women, Volto di donna, Il romanzo di Mildred e L’angelo bianco.
Negli anni ’30 è Marlene Dietrich il volto femminile del cinema, la femme fatale resa eterna da Josef von Sternberg. Un fascino intramontabile che abbiamo modo di apprezzare in Marocco, L’imperatrice Caterina e Venere bionda. Sua rivale è Greta Garbo, una bellezza algida dallo charme misterioso, protagonista di film quali Grand hotel, La regina Cristina e Anna Karenina.
Non si possono non citare Bette Davis e Rita Hayworth, le dark lady del genere noir. Agli inizi degli anni ’40 prende il sopravvento la figura della donna maliziosa, mite inizialmente ma che col passare del tempo svela la sua vera natura diabolica. Gilda, Eva contro Eva, Il mistero del falco, La donna del ritratto sono solo alcuni dei titoli che hanno come protagoniste donne emancipate, che si distinguono dal modello femminile imposto dalla società del tempo. Le attrici riescono ad interpretare magistralmente ruoli contraddittori di donne infide e scorrette.
I personaggi femminili degli anni ’50, invece, hanno delineato un percorso originale e variegato che ha saputo influenzare il cinema successivo e che è riuscito a far rispecchiare le donne nelle interpretazioni straordinarie di attrici come Anna Magnani, Sophia Loren, Marilyn Monroe, Silvana Mangano, Audrey Hepburn e Catherine Deneuve. Anna Magnani rientra in un raro caso della cinematografia: in quanto donna si è sempre posta al di fuori dei canoni di bellezza imposti dalle mode del tempo, elemento che l’ha resa il simbolo di una femminilità che contrasta gli stereotipi e va oltre le convenzioni.
Ma gli anni ’50 sono anche il terreno su cui è sorto il neorealismo rosa, un sottogenere della commedia italiana che ha come protagoniste le donne maggiorate, procaci, di origine popolare e prive di doti recitative. Fanno parte di questa categoria Pane, amore e fantasia con Gina Lollobrigida, Poveri ma belli e Tutte le donne del maresciallo. In questi anni percorsi da uno stravolgimento del gusto estetico, propugnatore di simboli femminili frutto di concorsi di bellezza, l’immagine femminile torna ad essere il nucleo centrale della trama. La donna diviene oggetto del desiderio maschile, pura esibizione del corpo nel suo aspetto più erotico e ipersessuale.
Forse sono proprio gli anni ’60 ad aver rotto per sempre con una visione sessualizzata della donna e ad averla resa al pubblico nelle sue sfaccettature, rendendo le nuove protagoniste dei personaggi a tutto tondo. I ruoli femminili fanno ritorno ad una peculiarità primigenia della donna, a metà tra la sensualità e la purezza. Talvolta appoggiandosi alla figura della donna-bambina che si abbandona alle attenzioni dell’uomo. Questo è ciò che accade a Lolita di Kubrick, in cui il fanatismo del corpo si impossessa di una ragazza ancora acerba e che si può trovare anche in Che fine ha fatto Baby Jane?. Un altro ruolo che ha determinato la concezione della donna nel cinema si trova nel film Il laureato, in cui Anne Bancroft, è madre e seduttrice di un giovane laureato, incarnando una donna matura consapevole delle sue azioni trasgressive.
Viene in mente anche Monica Vitti, attrice versatile, di raffinata bellezza e acuta ironia, passata con disinvoltura dalla commedia ai ruoli drammatici. Nella trilogia dell’incomunicabilità e in Ti ho sposato per allegria, viene rappresentata come una donna sofferente e annoiata, pervasa da quel mal di vivere che attanaglia l’umanità moderna, sempre in lotta per conciliare il proprio io interiore con l’alterità indifferente.
Arriviamo ora al cinema moderno, un esempio di avanguardia è delineato da Thelma e Louise, cult di Ridley Scott con la mitica Susan Sarandon. Thelma e Louise sono due donne che fuggono dagli uomini, alla ricerca di una vita più soddisfacente. In questa favola moderna due guerriere lottano con il resto del mondo e rischiano tutto per la libertà, decise a superare una realtà che le vuole vedere soccombere. Tematiche molto simili sono affrontate anche in altri film come Boys Don’t Cry, Pomodori verdi fritti, Erin Brockovich e The Hours: le protagoniste portano avanti la propria battaglia interiore, mostrando le difficoltà insite nella vita di una donna. Ci viene mostrato un modello di donna complessa, intelligente e forte, pronta a sovvertire le dinamiche di una società che la vorrebbe diversa. Tante sono le sfide che deve affrontare quotidianamente una donna, a livello lavorativo, nell’espressione della sua femminilità, nell’ambito della sessualità e in ogni situazione in cui ci sia un confronto con l’altro sesso.
Il culmine della voglia di rivalsa femminile nel cinema arriva con la figura della donna guerriera, come osserviamo con Beatrix Kiddo di Uma Thurman in Kill Bill, ma anche in Margaret Fitzgerald di Million Dollar Baby o in Katniss di Hunger Games. Donne battagliere, coraggiose e sprezzanti del pericolo, lottano con e contro gli uomini ad armi pari, scardinando per sempre il cliché della donna vista come soggetto debole, da proteggere.
Nel nuovo millennio la donna viene rappresentata sotto molteplici forme al cinema: attraverso storie di maternità difficili, di gravidanze non volute, descrizioni di donne spietate, femminilità negate, madri eroiche, che cercano di sopravvivere in un mondo patriarcale, spesso castigandosi con un annientamento del proprio carattere. Storie di questo tipo le troviamo in pellicole come Madres Paralelas, La figlia oscura, La Pazza Gioia e Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Racconti di donne sbagliate ma in realtà giuste, che cercano di autoaffermarsi e per cui l’ostentazione del corpo femminile diventa il luogo del proprio riscatto, non della subordinazione. Almodòvar, ad esempio, ricorre spesso a protagoniste donne, le considera una risorsa della società perché incarnano personaggi indipendenti, capaci di trovare soluzioni attraverso il dialogo, in un ambiente matriarcale che si nutre di alleanze e divergenze. Ci sono anche le rappresentazioni di donne di successo, potenti e sfrontate, come nel caso di Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada: Miranda è una donna difficile e spigolosa ma vera, che riesce a far sentire la sua voce e ad imporsi come modello per le altre donne.
Altri esempi contemporanei di attrici che incarnano appieno il vasto mondo femminile sono Alba Rohrwacher e Margherita Buy, sempre delicate e mai sessualizzate. Sono le antidive per eccellenza, ci vengono mostrate come donne sensibili che non temono le proprie debolezze, ma le affrontano con una forza intrinseca e quasi trascendentale. In La vergine giurata Alba Rohrwacher interpreta una donna libera e coraggiosa che, a causa della sua condotta ritenuta maschile, è costretta a diventare un uomo. Queste sono le rigide regole della comunità in cui vive che la obbligano ad essere una vergine giurata, annientando ogni sua femminilità. Dopo anni riscoprirà lentamente la sua vera identità e non tornerà più indietro. Come sostiene la protagonista nel film “Siamo libere di non essere per forza qualcosa“, una frase importante che dobbiamo insegnare e ripetere fino a quando diventerà un assunto e non un promemoria da posticipare.
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di Veronica Cirigliano
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2022-03-08 09:00:00 ,