AGI – Il Covid ha colpito anche il settore del caffè: dopo un 2019 di crescita (+0,8%), il 2020 ha segnato un cambiamento radicale dei consumi dovuto alla crisi sanitaria con forti ripercussioni.
il fatturato delle torrefazioni italiane si è contratto dell’8,6% per un valore stimato di 337 milioni di euro. Si sono ridotti i consumi fuori casa, con forti contraccolpi soprattutto nei consumi di bar e ristoranti, praticamente azzerati durante il primo lockdown. Le perdite di fatturato registrate dalle torrefazioni nel canale horeca nel 2020 sono pari al 40% e a scendere è anche il canale vending-Ocs che ha perso addirittura il 50% rispetto al 2019. Sono gli ultimi dati resi noti dal Consorzio promozione caffè.
Unico canale che non ha sofferto nel 2020 è il canale retail tradizionale ed e-commerce, cresciuto il primo a valore del 10,3% mentre il secondo con tassi prossimi al 50%, ma valendo meno del 2% del totale retail, in base ai dati rilevati dall’Iri. La contribuzione del retail ha in parte arginato le perdite riscontrate nel fuoricasa, ma non è stata in grado di compensarle integralmente.
Il caffè, simbolo di una delle eccellenze del Made in Italy, viene importato per la qualità robusta principalmente dal Vietnam e dal Centro Africa, mentre per l’arabica da Brasile, Colombia e Centro America. Nel periodo gennaio-dicembre 2020, il volume di caffè verde importato è stato pari a 9,4 milioni sacchi (da 60 kg), in calo (-8%) rispetto all’anno precedente, mentre le esportazioni di caffè torrefatto sono pari a 4,9 milioni di sacchi (da 60 kg) equivalente verde, con un calo del 6,8% rispetto all’anno precedente. Il volume di caffè verde trasformato dalle aziende del nostro Paese è di circa 9,2 milioni di sacchi (da 60 kg), in calo rispetto all’anno precedente (-8%). Sul mercato vi sono 7-800 di torrefazioni che operano a livello locale, che si aggiungono ai ‘big’: Lavazza, Illy, Zanetti, Kymbo, Caffitaly, Verganano, Pellini.
“Il 2020 – spiega il presidente del Consorzio promozione caffè, Michele Monzini – è stato un anno di grandi difficoltà, che proseguiranno nel 2021. Prevediamo che almeno nel primo semestre i canali del fuori casa e del vending saranno ancora molto penalizzati mentre il retail difficilmente continuerà a crescere come fatto nel 2020”. “Siamo certi – aggiunge – che gli italiani riprenderanno a tornare al bar, perché è un’abitudine simbolo dell’italianità e del nostro modo di vivere, ma non si raggiungeranno facilmente i livelli di vendite del 2019, come ci dice l’esperienza estiva del 2020 e comunque il settore si riprenderà realmente solo quando cesseranno le restrizioni alla circolazione delle persone e torneranno a regime le attività del fuori casa”.
Per un bar – spiega ‘Luciano Sbraga, vicedirettore generale Fipe Confcommercio.- il caffè vale il 32% del fatturato: un valore pari nel complesso a 6,6 miliardi nel periodo pre-covid,
Gli esercenti devono fare i conti con la pandemia ma anche con l‘aumento delle materie prima: il costo del chicco verde ha subito un rialzo di oltre il 40% nel giro di un anno. Se a giugno 2020 il prezzo era di poco meno di 100 centesimi a libbra (circa 450 grammi) a giugno di quest’anno si è arrivati a 144 centesimi. “Ma la materia prima non ha un’incidenza fondamentale sul prezzo del caffè torrefatto”, spiega Sbraga – perché in una tazzina ci sono circa 7 grammi di caffè, e l’incidenza sul prezzo finale è del 20%, cioé 17-18 centesimi su 1 euro. Quindi anche un aumento di un paio di euro al chilo di caffè verde non può avere riflessi importanti sul prodotto finale”.
Anche se di poco, però i prezzi dell’espresso al bar sono saliti: +1,4% in un anno.
Le differenze a livello regionale restano confermate: si va dagli 88 centesimi di Reggio Calabria e ai 90 di Napoli per poi gradualmente salire verso il Nord: 93 centesimi a Roma, 1,09 a Torino, 1,10 a Modena, Ravenna, Belluno, 1,11 a Bologna.
La prospettiva potrebbe essere di tentare la coltivazione in Italia, evitando così non solo i rincari della materia prima ma anche quelli della logistica. Un’ipotesi che però è ancora economicamente non sostenibile.
“Coltivare il caffé in Italia è possibile, il problema è la fattibilità economica” afferma Lorenzo Bazzana, agronomo responsabile tecnico economico di Coldiretti, ricordando che nel mondo la coltivazione è estensiva, su grandi superfici.
“La pianta di caffé richiede una temperatura che non scenda sotto i 10 gradi e non superi i 40. Si potrebbe ovviare al rischio di sbalzi termici con sistemi protettivi e di riscaldamento, oppure coltivare in serra con tecnologie adeguate. Si potrebbe quindi avere un caffé al 100% italiano ma con costi fuori mercato”. Bisogna poi considerare le conseguenze sempre più frequenti dei cambiamenti climatici: “Non solo l’aumento delle temperature ma il verificarsi di fenomeni violenti. Se anche le temperature fossero compatibili, le variabili tempesta e grandine rendono impraticabile la coltivazione”.
“Naturalmente – aggiunge Bazzana – mai dire mai. Ci sono coltivatori di banane e di altri frutti tropicali in Sicilia, (avocado e babaco) e in Calabria (goji). In serra, per lo più in Sicilia, si coltiva lo zenzero”. “Bisogna vedere se una coltivazione può essere profittevole. A meno che non si voglia fare qualcosa di paragonabile al manzo di kobe, che ha prezzi elevatissimi: più una curiosità che un prodotto destinato al supermercato”.