In un casco dotato di questa tecnologia troviamo quindi tre componenti principali: la calotta in polistirene espanso (EPS), lo strato a basso attrito e, spesso tra le due, un sistema di fissaggio per mezzo di elastomeri. In un impatto angolato (che è anche il più comune ma i cui effetti sono trascurati dall’attuale normativa), il sistema di fissaggio per mezzo di elastomeri si tende per consentire alla calotta in EPS di girare in modo indipendente attorno alla testa.
“Oggi la nostra tecnologia è stata scelta da 147 produttori, è presente in 883 modelli ed equipaggia già 12,6 milioni di caschi venduti”, spiega Daniel Lanner, Science Project Manager. Ci racconta la storia di MIPS, della scelta di produrre soluzioni per terzi (invece di produrre direttamente caschi), così da poter diffondere il più possibile la loro tecnologia di sicurezza. E poi, ancora, della lotta per restare sul mercato nei primi 15 anni di attività, sfiorando due volte la bancarotta, fino al successo vero, iniziato nel 2014 e che oggi si traduce in una crescita inarrestabile. «Due anni fa eravamo in 43, oggi siamo in 90, e siamo cresciuti durante la pandemia», sottolinea infatti orgoglioso Lanner.
Il Virtual Test Lab
Durante la nostra visita a Täby, abbiamo anche assistito in anteprima assoluta a una demo del Virtual Test Lab. Creato per velocizzare il processo di sviluppo e aumentare l’affidabilità dei nuovi caschi, utilizza modelli matematici basati sul Metodo degli Elementi Finiti (FEM) per descrivere e applicare le proprietà dei caschi e dei loro materiali, ma anche soprattutto quelle del cervello umano. Durante la demo, vediamo apparire sullo schermo la ricostruzione di un casco identico a quello dell’esperimento iniziale: le schiume che lo compongono, il rivestimento e ogni altro dettaglio è stato scomposto in piccoli poligoni, ciascuno composto da 4 angoli. Per rappresentare la ricostruzione di questo specifico prodotto ne servono oltre 430mila che, come altrettanti pezzi di un Lego straordinariamente complesso, descrivono l’oggetto con estrema precisione, attingendo a una pregiata libreria di materiali pazientemente costruita da MIPS.
La “magia” della simulazione
Bastano pochi clic, e in quel casco si materializza una testa, quindi vediamo ripetersi in digitale lo stesso test che avevamo visto dal vivo all’inizio. Vediamo il casco rompersi nello stesso modo, negli stessi punti, ma questa volta possiamo rallentare il colpo, studiarlo nei dettagli mentre accade, “scavare” in profondità nei materiali e vederne in diretta la deformazione e la rottura in punti altrimenti inaccessibili. “Quel che nel 2018 richiedeva tre mesi di sviluppo, grazie a queste simulazioni oggi riusciamo a farlo in 3 settimane – spiega Marcus Arnesen, Model Development Engineer di MIPS – e siamo gli unici a poter vedere cosa succede nel casco. Di solito un produttore deve sviluppare fino a 5 versioni di un casco prima di avere quella definitiva: se lo facciamo noi così invece ne bastano 2 o 3”.
Quando poi nella simulazione viene aggiunto il cervello umano, la demo diventa ancora più interessante: gli oltre due decenni di ricerca MIPS si concretizzano in un modello matematico che, come già per il casco, descrive il cervello in ogni sua parte, tenendo conto delle proprietà di ogni parte e “materiale”, mostrando puntualmente le reazioni e i danni derivanti da ogni impatto. Scopo della demo è mostrare la versatilità del Virtual Test Lab, ma Isak Hampel Klang, il Computational Engineer responsabile di questa ultima sessione, ne approfitta anche per ribadire il concetto alla base del successo di MIPS: il test simulato su una superficie obliqua imprime una forte rotazione alla testa, e il sistema evidenzia conseguenze assai più gravi sul cervello di un colpo lineare impresso con uguale forza. Lo stesso test, ripetuto aggiungendo al casco virtuale la tecnologia di sicurezza MIPS, evidenzia una riduzione importante delle conseguenze post-impatto.
Quasi come a dire: “Hai visto che avevamo ragione noi?”.
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di Alessio Jacona www.wired.it 2022-07-17 05:00:00 ,