Author: Carmine Cimmino
Data : 2022-12-14 05:50:09
Dominio: www.ilmediano.com
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C’era nelle ostesse di Pompei antica l’istintiva persuasione d’essere investite di una specie di dignità sacerdotale consacrata, nello stesso tempo, a Dioniso e ad Afrodite, e dunque al culto di un vitalismo ora straripante, ora malinconico, e di un’umanità desiderosa di esprimersi nel segno della verità e della naturalezza.
Le taverne, le locande, le mescite di vino ( thermopolia, tabernae, cauponae ), gli osti e le ostesse di Pompei corrisposero, in ogni dettaglio, ai modelli, eterni e universali, che vennero definiti dalla felice congiunzione della vita e della letteratura. Nei thermopolia pompeiani si vendevano cibi caldi, olive del Vesuvio, legumi secchi, prodotti e lavorati nella valle del Sarno e nell’agro nocerino, e vini, ovviamente, serviti in bicchieri e boccali di argilla nera, che erano riposti su gradini scavati nel banco, o nel muro alle spalle: un uso, e uno splendore di ceramiche, e una fantasia di oggetti, comuni e nobili, allo stesso tempo, che avrebbero ispirato ancora Velazquez e Zurbaran, La Tour e Crespi. Su ogni “piatto” cadeva almeno una goccia di garum, la salsa prodotta dalla macerazione di sgombri, di tonni, di sardine e di acciughe in una salamoia concentrata di acqua marina, che veniva sistemata in cisterne esposte al sole. Pompei era la prima produttrice di garum: nelle officine si sviluppava tutta la filiera, e si raffinava anche il garum grezzo importato da Cartagena, che controllava il mercato delle specie più raffinate. I produttori pompeiani si procuravano le enormi quantità di sale necessarie alla lavorazione attraverso le Saline di Ercole, che si trovavano nel territorio di Torre Annunziata. Una qualità scadente di garum, l’hallex, composto principalmente di acciughe, era riservato ai poveri e agli schiavi. Le specie di garum prendevano nome dai produttori: ma le iscrizioni e i sigilli sulle anfore inducono a credere che i produttori più importanti fossero gli Umbricii. I pezzi di vita vissuti nei thermopolia e negli hospitia, che erano le locande vere e proprie, dettarono, con felice immediatezza, dipinti e graffiti. In una locanda nei pressi del mercato di Pompei un cliente, Vibo Restituto, incise sul muro i sensi della sua pena d’amore: dormiva solo, e pensava, con desiderio e nostalgia, a Urbana, la sua donna. Che doveva esser fiera della fedeltà rigorosa di Restituto, perché non era facile resistere, in una locanda pompeiana, al ricco assortimento di amori mercenari proposti dalla dimora. In un altro graffito alcuni clienti che si coprono il capo con la cuculla, il cappuccio dei viandanti, mangiano e bevono seduti intorno a un tavolo: un ragazzo distribuisce piatti e bicchieri; formaggi e salumi pendono da una rastrelliera. Dopo duemila anni, un vecchio soldato continua a rimproverare il giovanotto che gli porge una coppa di vino: a me vendi l’acqua e tu ti bevi il vino, e un’ostessa, il cui nome, Vinaria Hedone, è un programma di voluttà vinicola, dice a un robusto soldato che una bevuta di Falerno costa 4 assi. I clienti dell’oste Ermete decantavano nei loro graffiti le qualità delle ragazze che la dimora offriva: Palmira, l’orientale, era “ sitifera “, prosciugava tutti gli umori del corpo; un’altra era culibonia . In un’altra “ caupona “ Euplia si vantava di andare solo con uomini di bell’aspetto. Nel termopolio di Asellina c’erano segni chiarissimi del servizio più importante offerto dalla ditta: sullo stipite destro dell’ingresso era disegnato un Mercurio dotato di un enorme fallo e una lucerna fallica oscillava dall’architrave della sala. Le ragazze, la greca Egle, l’orientale Smirna, l’ebrea Maria si facevano chiamare aselline , in onore alla maitresse, e con manifesto riferimento erotico all’asino, simbolo di ardore sessuale. Queste ostesse, portatrici e promotrici di costumi liberi, sono consapevoli del fatto che l’eccessiva sbrigliatezza dei loro modi ricava una sua solida dignità dalla forza misteriosa del vino: la taverna è un luogo a sé, ha una sua propria scala di valori, e se Dioniso è un dio, bere è un rito. Il vino illumina la festa del convito, ma è anche il compagno di meditazioni solitarie. Era fatale che anche le taverne pompeiane fossero, come i caffè di oggi, il teatro prediletto dalla propaganda elettorale e che osti e ostesse vi recitassero un ruolo di primo piano . L’oste Euxinus sostenne, per la carica di edile, la candidatura di Q. Postumio e di M. Cerrinio e fece scrivere da Hinnulus il manifesto elettorale all’ingresso della sua caupona, che inalberava come insegna un’araba fenice e due pavoni “ affrontati “, ed era colma di anfore segnate col nome dell’oste: “ Pompeiis, ad amphiteatrum, Euxino coponi “. Terminati i ludi circensi, Eussino mesceva agli accaldati spettatori che sciamavano nel suo locale anche il vino fornito da una piccola vigna impiantata dietro la taverna. Chi sa come si comportò in quel giorno del 59 d.C. quando, durante uno spettacolo di gladiatori offerto da Livinio Regolo, Nocerini e Pompeiani prima si insultarono, poi con l’abituale intemperanza – scrive Tacito – misero mano ai pugnali “ ed ebbe il sopravvento la plebaglia di Pompei”, sangue dei soldati di Silla . E’ certo che Eussino e gli altri osti di Pompei non amavano i Nocerini: uno di questi, avvelenato dal vino che gli aveva venduto Stazio, affidò all’intonaco di un muro la confessione della sua amarezza: C.Sabinius Statio plurimam salutem ! Viator, Pompeis panem gustas, Nuceriae bibes.: viandante, tu mangi il pane a Pompei, ma berrai a Nocera.
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