l’editoriale
Mezzogiorno, 16 marzo 2022 – 09:13
di Emanuele Imperiali
un difetto tipicamente italico. Che rischiamo, oggi come in passato, di pagare molto caro. Soprattutto in una terra, come quella pugliese, che sta scontando sulla propria economia i problemi legati alle coltivazioni di grano (e similari) che risentono direttamente della guerra in atto tra Russia e Ucraina, tra i maggiori produttori mondiali oggi di fatto fermi anche in seguito alle sanzioni dei Paesi occidentali. La Puglia – un dato che non pu essere sottovalutato – tra quelle dove l’industria della pasta ha una serie di stabilimenti di primaria importanza, che non solo danno lavoro a migliaia di persone ma contribuiscono non poco alla crescita del Pil, soprattutto agroalimentare.
L’interrogativo sul quale ci si arrovella in questi giorni che fare. La Coldiretti, proprio ieri, dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno, ha proposto di aumentare fino al 30% la superficie coltivata a grano, per non subire interruzioni nei flussi di materie prime. Attualmente la Puglia ne produce all’incirca 900 mila tonnellate, si potrebbe arrivare a superare di molto il milione. Gi, facile a dirsi, ma molto pi difficile a realizzarsi. Perch bisogna riuscire a superare una serie di resistenze in sede europea, a cominciare dai vincoli posti dalla politica agricola comune, la famigerata Pac. E poi perch, quando nell’interscambio con l’estero non ci sia guarda attorno a 360 gradi ma si privilegiano per anni, alcuni mercati di sbocco, inevitabilmente diventa molto pi arduo cambiare riferimenti da una settimana all’altra.
Perch, con il conflitto in corso, per non vedersi costretti a interrompere le forniture di grano, sarebbe stato preferibile rivolgersi per tempo ai produttori sudamericani, scelta che invece non stata fatta.
Ma il nodo vero attorno al quale ci si avviluppa con troppa frequenza quello della lentezza delle decisioni, per non definirla vera e propria incapacit a fare i conti per tempo con l’emergenza. Eppure proprio il lungo periodo nel corso del quale siamo stati costretti a fare i conti con il Covid, ci avrebbe dovuto insegnare a reagire per tempo agli accadimenti improvvisi e del tutto imprevisti. E, invece, cos come siamo stati molto bravi a tener testa alla pandemia, anche nei momenti che erano pi bui, non riusciamo quasi mai a costruirci prima che tutto precipiti un piano B in grado di fronteggiare le evenienze di una realt che, mai come gli ultimi anni, si modifica giorno dopo giorno alla velocit della luce.
E questo ragionamento riguarda certamente le istituzioni, i governi ai diversi livelli, ma anche gli stessi imprenditori, i sindacati, la societ civile che reagiscono tutti con troppa lentezza alle turbolenze di mercati sempre meno prevedibili. Il primo, e sicuramente pi importante, banco di prova costituito dal Piano nazionale ripresa e resilienza. Letto oggi, sembra purtroppo essere molto datato. Ci che, tanto per fare un esempio, stabilisce in merito alla transizione ecologica, non , in parte almeno, praticabile, in quanto i prezzi del gas, sempre a causa della guerra, sono alle stelle e i tempi per sostituirlo con le energie rinnovabili appaiono molto pi lunghi del previsto. Lo stesso pu dirsi, su un versante diverso, per ci che attiene ad alcune scelte di politica industriale, segnatamente di politica agro-alimentare. Apparire rinunciatari anche su questo terreno potrebbe penalizzare oltre misura l’economia meridionale, e specificamente pugliese, facendo apparire velleitario ogni programma di crescita strutturale di un segmento produttivo che comincia sui campi e termina negli stabilimenti. Come quello dell’intera filiera dei pastifici.
16 marzo 2022 | 09:13
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, 2022-03-16 08:13:51
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