L’insulto “bianco”del pisano Enrico Letta a indirizzo – come direbbe lui – “degli amici livornesi” entra come colore vivo nella lavatrice di una campagna elettorale che, al contrario, pare non esser capace di accendersi davvero su nessun tema. “Forza Pisa. Livorno m…..”, ha sibilato il segretario domenica, col favore delle tenebre, sotto il tendone del ristorante della festa regionale de L’Unità. A Pisa, la sua città. Abbastanza per scandalizzare i non toscani e per accigliare i vicini di abitazione di Livorno. Che però, a quanto pare, stanno al gioco e preparano la vendetta da servir fredda sullo stesso piano, quello della goliardia pop.
Lo sfottò spiegato ai non toscani
Se qualcuno gridasse “Forza Livorno!” trovandosi in quella stessa città, ci sarebbe una buonissima probabilità che lì intorno arrivi una replica con eguale forza della voce: “Pisa m….!”. Un riflesso condizionato della cultura popolare che, da quelle parti, ha a che fare con quel misto di campanilismo canzonatorio e tifo calcistico che caratterizza da decenni l’ironia locale. Un gioco folckloristico, che migra dallo stadio alle periferie e che funziona in entrambe le città – distanti una manciata di chilometri – anche a fattori invertiti. Spesso lo slogan viene dunque usato nella sua dicitura completa come motto ironico, recitato tutto insieme da una sola persona. “Forza Pisa, Livorno m….!”, come ha detto Letta. Che di lì a poco ha fatto capire di voler continuare su quel registro, mettendo nel mirino Firenze e ringraziando la segretaria toscana Simona Bonafé al microfono per aver organizzato la festa regionale nella sua città di nascita, «capendo finalmente qual è la vera capitale di questa regione».
Stile e reazioni
È innanzi tutto una questione di stile. Non quello che si ha oppure no, ma quello che si eredita coi natali. Nemmeno a due accaniti tifosi come Walter Veltroni (romano juventino di fede calcistica) e Matteo Salvini (milanese milanista di fede calcistica) verrebbe mai in mente di dire “Toro merda” o “Inter merda”. E del resto i contendenti non capirebbero (se la prenderebbero e non poco). Ma almeno a Livorno e Pisa questa è la prassi, tanto che i presunti antagonisti di Letta, in replica, stigmatizzano la sua “pisanità” piuttosto che la sua frase, che non viene considerata un vero insulto. Il (sud)detto non sconta nemmeno l’ondata morale del ‘politically correct’ a tutti i costi, a meno che non si voglia considerare la “livornesità” o la “pisanità” come sinonimo di minoranza: circostanza che ciascuno dei due “popoli” sarebbe del resto disposto ad ammettere in nessun caso. «Ero anch’io alla Festa dell’Unità di Pisa, e francamente la battuta di Letta non l’ho sentita. Ma ci sta benissimo che l’abbia fatta. D’altra parte è un ragazzo pisano…», dice con disprezzo controllato il candidato all’uninominale alla Cemera del Pd a Livorno, Andrea Romano. «Ed è anche vero che capita spesso, tra me e lui, di beccarci sul sacro folklore del duello tra pisani e livornesi. Ricordo ad esempio – continua svelando un retroscena lo stesso Romano – i giorni caldissimi della rielezione di Sergio Mattarella, quando Letta in riunione con noi deputati Pd disse che eravamo come nel Gioco del Ponte pisano, in cui ad un certo punto l’equilibrio si sposta e le cose vanno da sole dove devono andare. Io commentai che il Gioco del Ponte era noiosissimo e che poteva semmai citare la Coppa Barontini…. Ma sulle cose serie il Pd di Livorno e Pisa hanno sempre collaborato. Un esempio tra i tanti? Pochi mesi fa siamo riusciti in Parlamento, lavorando insieme tra Pisa e Livorno, ad inserire nel Piano Strategico Ferroviario sia il Raccordo Ferroviario Portuale tanto importante per Livorno sia il raddoppio della linea Pisa-Firenze». E qui si torna alla politica. Secondo Romano, Letta «ribadirà presto il concetto, quando nei prossimi giorni farà tappa a Livorno nella campagna elettorale. Stiamo individuando la data». Sembra una minaccia.
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6 settembre 2022 | 15:12
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