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(di Angelo Cerulo)
Si intitola ‘La società fra memoria
e speranza. Hatikvah. Per un Umanesimo possibile’ il libro della
sociologa e docente universitaria Clelia Castellano (Guerini
Scientifica, pagine 120, 14 euro), uscito in simultaneità con il
primo anniversario del 7 ottobre (prefazione del rettore del
suor Orsola Benincasa, Lucio d’Alessandro). “Hatikvah” – spiega
Castellano – significa, in ebraico, ‘la speranza’, ma è anche il
titolo dell’inno nazionale ebraico, costruito attorno ad una
melodia antica che è emozionante ascoltare, oggi, mentre c’è chi
nega ad Israele il diritto di esistere sulle carte geografiche”.
“Il sottotitolo del mio libro, HaTikvah, non è un punto di
arrivo, ma un punto di partenza, un’istigazione pungolante come
il tafano di socratica memoria a cercare la luce al di là delle
cose” aggiunge la studiosa. docente al Suor Orsola Benincasa di
Sociologia dell’Educazione. Questa parola ebraica allude, in un
canto meraviglioso che oggi è l’inno nazionale, al ritorno alla
terra promessa, dopo schiavitù e sofferenze, per vivere in pace.
Il canto dell’ebreo errante è una lezione di speranza per tutti
i popoli, accoglierlo non significa odiare i palestinesi, ma
ricordare una verità semplice: ogni popolo, come ogni uomo, è in
cerca di un orizzonte”. Il libro pone l’attenzione, oltre che
sulla questione palestinese, anche sulle vicende armene, curde,
berbere.
Il volume è dedicato dall’autrice “a tutti coloro che sono
sulla via del ritorno”, perché non vuole candidamente essere un
segno di speranza e una presa di posizione nei confronti
dell’antisemitismo. È anche una celebrazione della memoria
alleanza come patrimonio dei popoli tutti, in una stagione di
crisi dell’Occidente “nella quale il recupero della cultura
della memoria può essere la risposta all’urgenza di un
nichilismo esistenziale che sta privando le nuove generazioni di
consapevolezza storica e civile, al di là di spettacolari
protagonismi ‘politici’ sui social, talvolta frutto di
pregiudizi e disinformazione”.
Nel dilagare dell’ideologia e della mercificazione di corpi e
identità, la memoria, si rileva, “è in grado di ridare vigore
alla meraviglia della differenza”. Scrive l’autrice: “La
contingenza storica degli avvenimenti recenti […] è stata il
motore che ha avviato la riflessione, ma questa è stata
sostenuta e temperata dalla volontà di cercare equilibrio e
pace. Per lungo tempo si è rinfacciato al popolo ebraico
l’ergersi a unico attore della sofferenza nella storia, come se
il lavoro sul ricordo degli eventi della Shoah, la cui portata
educativa è immensa, fosse colpevole di mettere in ombra altre
storie di sofferenza: nulla di più ingiusto, sia perché
l’unicità della Shoah come fenomeno storico è certo, sia
per la vicinanza di una parte del mondo culturale ebraico,
nonostante le posizioni della politica ufficiale, ad altre
tragedie, come quella armena. Gli ebrei non hanno chiesto di
essere deportati, torturati, odiati, dispersi: sulla loro pelle,
hanno imparato la lezione della memoria e della resilienza, e
queste sono lezioni di umanesimo alle quali tutte le culture
debbono attingere”.
Il libro della Castellano è un auspicio a considerare la
memoria come categoria umana foriera di pace e civiltà, quando
il suo uso non è indiscriminato, rimettendo in gioco le
categorie che il dilagare del pensiero unico relega ai margini
della riflessione collettiva. “L’umile sforzo di questo piccolo
libro, che, ripeto, vuole essere un punto di domanda e di
partenza, è ribadire l’imprescindibile necessità della memoria
per restare umani”. “Mi lascia perplessa la tendenza a
considerare sempre gli agguati dell’odio che si fa strada nella
storia, dimenticando che anche l’amore percorre il mondo, come
una forza invisibile, caparbia, spesso silente e non
documentata, ma presente nelle traiettorie delle società e degli
individui. Una forza che le violenze sembrano voler negare, ma
che puntualmente si riaffaccia sull’orlo del baratro”.
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