In inglese li chiamo horseshoe crab, o granchi a ferro di cavallo. Ma a dire la verità, i limuli hanno ben poco in comune con granchi e crostacei: abitano nelle acque dell’oceano, ma sono imparentati con ragni, zecche e scorpioni più di quanto non lo siano con altre forme di invertebrati marini. Si tratta in effetti di autentici fossili viventi, animali che sopravvivono immutati negli oceani della Terra da oltre 450milioni di anni. Se pur tecnicamente commestibili, ben pochi (almeno in occidente) sono interessati alle carni di questi strani animali, ma questo non basta a tenerli al sicuro dalle attenzioni della nostra specie. I limuli nascondono infatti un pregiato segreto nel loro sangue di colore blu: la capacità di evidenziare rapidamente la presenza di contaminazioni batteriche, utilissima in ambito farmaceutico per effettuare test di sicurezza. Per questo vengono pescati a migliaia lungo le coste americane, nonostante si tratti di una specie a rischio, e nonostante esistano da tempo alternative sintetiche al loro sangue. La buona notizia (almeno peri poveri Limuli) è che presto la situazione potrebbe cambiare radicalmente.
Rilevatori biologici
A rendere unico il sangue dei limuli è una proprietà unica scoperta negli anni ‘70 dello scorso secolo: quella di coagularsi in presenza di batteri nocivi. Al suo interno sono infatti presenti cellule chiamate amebociti, che contengono una proteina che reagisce con alcune tossine presenti nella membrana cellulare dei batteri Gra-negativi, coagulandosi a formare una barriera che impedisce la proliferazione di questi patogeni. Per i limuli si tratta di un meccanismo di difesa dalle infezioni batteriche. Per l’industria farmaceutica è invece un metodo rapido ed economico con cui verificare la presenza di contaminazioni all’interno dei farmaci. Estraendo il sangue dei limuli con un prelievo si può ottenere una sostanza conosciuta come lisato di amebociti di Limulus (o Lal), che una volta esposta al campione da analizzare coagula se questo è contaminato da prodotti batterici, rendendone facilissima l’individuazione.
Per ottenere il lisato di amebociti di Limulus ogni anno lungo le coste degli Stati Uniti vengono pescati centinaia di migliaia di limuli, che vengono poi trasferiti in apposite strutture attrezzate per sottoporli a un prelievo di sangue, e quindi liberati nuovamente nell’oceano. Il problema è che questo processo uccide fino al 30% degli esemplari raccolti ogni anno, e visto che il limulo attualmente è una specie considerata vulnerabile, e che la sua presenza nell’ecosistema è fondamentale per la sopravvivenza di moltissimi altri animali, tra cui diverse specie di uccelli migratori a rischio di estinzione, si tratta di un problema non da poco. Da anni i gruppi ambientalisti americani hanno cercato di sensibilizzare il governo federale sulla necessità di proteggere i limuli dalla raccolta indiscriminata, senza ottenere grande successo.
Il loro utilizzo nell’industria farmaceutica si muove infatti in una sorta di zona grigia, in cui esistono scarsi controlli e norme poco chiare. Il risultato è che il prelievo annuale di limuli non ha fatto che aumentare: se nel 2016 la raccolta annuale si aggirava attorno ai 400mila esemplari, oggi i numeri sono cresciuti fino a superare i 600mila animali raccolti ogni anno. Il tutto, lo dicevamo, nonostante da tempo siano state sviluppate e validate diverse alternative sintetiche al sangue dei limuli che garantiscono la stessa efficacia, senza la necessità di disturbare queste povere creature marine.
Un test alternativo
Uno dei possibili sostituti del lisato di amebociti di Limulus è una proteina sintetica conosciuta come recombinant factor C (o rFC). Sviluppata sul finire degli anni ‘90, la sua diffusione è andata però a rilento e ha iniziato ad affermarsi solamente negli ultimi anni. In Europa è ormai autorizzata dal 2020, mentre fino ad oggi non è mai stata inserita ufficialmente nelle norme per la farmacopea americane. Nonostante alcune aziende farmaceutiche abbiano iniziato ad utilizzarla (previa richiesta di autorizzazione speciale all’Fda) – come Eli Lilly, che fa ricorso al recombinant factor C dal 2018 e ne ha intensificato l’utilizzo durante la pandemia per verificare la sicurezza dei suoi monoclonali anti-Covid – la mancanza di un riconoscimento ufficiale sta complicando parecchio la diffusione delle alternative al sangue di Limulo.
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di Simone Valesini www.wired.it 2023-09-04 04:40:00 ,