C’è un fiore che ha l’ardire di sbocciare in uno dei luoghi più caldi del mondo: la Death Valley, o Valle della Morte, un’area desertica che si trova in California e che dà il nome all’omonimo parco nazionale statunitense. L’arbusto che genera il fiore si chiama Tidestromia oblongifolia e un gruppo di ricercatori del Carnegie Institution for Science di Stanford (Stati Uniti) ha deciso di studiarlo per capire come faccia a sopravvivere a temperature che possono superare i 50 gradi centigradi. Per il momento i risultati sono disponibili in forma di pre-print su BioRxive. Chissà che i geni di questa pianta non ci aiutino in futuro a ottenere coltivazioni capaci di resistere ai cambiamenti climatici in corso.
Lo studio
Per comprendere i meccanismi che stanno alla base della tolleranza termica di T. oblongifolia e i cambiamenti anatomici, morfologici e fisiologici a cui la pianta va incontro per sopportare le temperature estreme a cui è esposta, il gruppo di ricerca ne ha coltivato diversi esemplari in laboratorio. Inizialmente le piante sono state esposte a condizioni di temperatura moderata per poi essere trasferite in ambienti adibiti a riprodurre le condizioni che caratterizzano l’estate nella Death Valley. Gli autori hanno coltivato e sottoposto allo stesso trattamento anche Amaranthus hypochondriacus, una specie originaria delle zone tropicali di Messico e Sud America. A. hypochondriacus ha alcune caratteristiche in comune con T. oblongifolia (entrambe per esempio appartengono alla famiglia delle Amarantacee) e il suo genoma è già stato studiato e sequenziato in passato, il che la rende un termine di paragone ottimale.
I segreti di T. oblongifolia
A. hypochondriacus ha smesso di crescere una volta esposta alle temperature estreme che caratterizzano la stagione estiva della Death Valley. Al contrario, nelle stesse condizioni T. oblongifolia ha aumentato il suo tasso di crescita, mostrando infatti un aumentato livello di assimilazione della CO2 – uno dei componenti essenziali per la fotosintesi clorofilliana, attraverso la quale le piante producono i propri nutrienti. Grazie ai sequenziamenti genetici e alle analisi dei livelli di trascrizione dei suoi geni, il gruppo di ricercatori ha inoltre osservato che T. oblongifolia tende ad aumentare la trascrizione di quei geni che codificano per la produzione di proteine (in gergo vengono definite proteine da shock termico) che sono in grado di promuovere la sintesi e la riparazione di specifici componenti che risultano protettivi per la pianta.
Inoltre, T. oblongifolia sembra essere capace di ridurre la dimensione di alcune cellule contenute nelle proprie foglie, con l’obiettivo di aumentare la densità dei cloroplasti, gli organelli deputati alle reazioni di fotosintesi. Le densità dei cloroplasti per unità di superficie sembra essere direttamente proporzionale all’efficienza fotosintetica della pianta. Infine, i ricercatori hanno osservato un aumentata densità di mitocondri (le “centrali energetiche” di qualsiasi cellula) all’interno di determinati tipi di cellula della foglia. Questo, scrivono i ricercatori dell’articolo, potrebbe indicare un adattamento della pianta alla maggiore richiesta energetica a cui probabilmente va incontro durante i periodi di caldo estremo.
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di Sara Carmignani www.wired.it 2023-08-07 14:57:06 ,