Due standing ovation al meeting di Cl per il presidente del Consiglio: «Giovani speranza della politica. In due anni il maggiore calo del debito in rapporto al Pil dal Dopoguerra»
Due standing ovation quasi interminabili. Un’accoglienza iniziale e un saluto finale carichi di entusiasmo. Quasi imbarazzanti. Mario Draghi che ammette di potersi commuovere, e forse lo fa, trattenendo le emozioni. È un bagno di consenso, di affetto, di approvazione, di calore, la seconda partecipazione del capo del governo dimissionario al meeting di Rimini. Due anni fa si era in piena pandemia, era un’altra storia, c’èra un’agenda da costruire in base anche alle possibilità del «debito buono». Oggi è tutto diverso, è un commiato, un bilancio, senza nessuna acredine per come è finita la sua esperienza di governo: «Invito tutti gli italiani ad andare a votare, chiunque verrà eletto sarà preservare lo spirito repubblicano che ha contraddistinto la nostra azione, sono convinto che chiunque lo farà, perché il nostro è un grande Paese e gli italiani sanno reagire con coraggio e decisione ai momenti difficili».
«Giovani speranza della politica»
E il cuore di questo auspicio sono i giovani che sono «la speranza della politica». Per una delle ultime uscite pubbliche Mario Draghi diffonde dunque un messaggio privo dei rancori che alcuni gli attribuiscono per la crisi del governo, carico invece di fiducia, negli italiani, nei partiti, di sinistra e di destra: un’ottimismo fondato sui precedenti storici, sulla capacità di reagire del nostro Paese ai momenti difficili, e questo è sicuramente «un passaggio drammatico e le scelte di oggi segneranno il futuro del Paese», eppure l’ex governatore della Bce è convinto che i partiti sapranno «ritrovare quella coesione nazionale» che è stato il tratto essenziale del suo esecutivo.
Il radicamento nell’Europa
Certo, qualche sassolino dalle scarpe esce comunque: la collocazione del nostro Paese sullo scenario nazionale è «ancorata alla Nato, al G7, all’Unione europea, al Patto atlantico», e dunque altro che uscire dall’euro, altro che mettere in discussione alcune posture geopolitiche, anche perché «isolazionismo e protezionismo», due dei tratti invocati dai sovranisti, «non coincidono con i nostri interessi, l’Italia non è mai stata forte quando ha deciso di fare da sola, il nostro radicamento nella Ue coincide con la visione dei nostri padri e dei nostri nonni». Ma questo non significa per Draghi non auspicare riforme che anche i partiti attuali invocano in campagna elettorale. Draghi lo dice a chiare lettere, le regole di bilancio attuali della Ue «sono poco credibili e poco efficienti», «non permettono di gestire delle fasi di crisi così come non permettono di un costruire un necessario sovranimo europeo». Insomma vanno radicalmente cambiate, considerando magari un debito «buono» come necessario per avere un’Europa più forte di fronte alla Cina, agli Stati Uniti, alla stessa Russia, quella che «brutalmente ha attaccato l’Ucraina, che dobbiamo difendere, viceversa non possiamo dirci europei».
L’applauso
Quando Mario Draghi scende dal palco gli applausi sfiorano il minuto, il presidente del Meeting quasi li interrompe, ringrazia il premier, lo accompagna verso l’uscita, parte un battimano ritmato, quasi da concerto, Draghi ha un viso velato di commozione: ha rivendicato («il maggiore calo del debito in rapporto al Pil in due anni dal Dopoguerra»), ha consigliato chi verrà dopo di lui («ci vorranno scelte rapide, decise, autorevoli», perché con l’«autorevolezza si ottiene il rispetto»), ha diffuso nonostante tutto fiducia nel futuro. Eppure non riesce a dissimulare, insieme all’orgoglio per le scelte fatte, anche un filo di amarezza di non poter completare l’opera.
24 agosto 2022 (modifica il 24 agosto 2022 | 13:51)
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Marco Galluzzo, inviato a Rimini , 2022-08-24 13:51:02 ,