Loki. Fonte: hitz.com
Diciamocelo chiaramente fin da subito.
Le aspettative di chi vi scrive per quanto riguarda una serie Disney+ dedicata al dio dell’inganno erano fin da subito bassissime: che fosse a causa della tematica dei viaggi temporali, non una di quelle che fanno più presa sul sottoscritto, o del personaggio stesso di Loki, il quale, nonostante l’indubbia bravura e carisma del suo interprete Tom Hiddleston, aveva finito le cose da dire da almeno otto anni (opinione personale, non odiate chi vi scrive) la serie dedicata alle gesta del fratellastro di Thor era senza dubbio quella che, tra le varie proposte di Marvel e Disney+ per il 2021, solleticava di meno il senso di nerd di chi vi scrive. Forse è proprio a causa del poco hype, che i primi due episodi della serie hanno sollevato l’entusiasmo di chi vi scrive, entusiasmo che è andato scemando con i due successivi, si è elevato alla massima potenza per il quinto, ed è infine calato ai minimi termini col finale di stagione.
Insomma, Loki è un prodotto altalenante e discontinuo dal punto di vista della qualità come del ritmo, e che pur partendo da basi sorprendentemente buone, sfocia in un finale sconclusionato e anticlimatico, che la rende una serie realizzata esclusivamente in funzione del futuro del Marvel Cinematic Universe, ma priva di un senso se presa in sé per sé.
Se volete sapere il perché, tiriamo le somme, ad una settimana dall’ultimo episodio, sulla serie più chiacchierata del momento, e per poterne sviscerare adeguatamente pregi e difetti, andremo nel dettaglio facendo anche degli spoiler, motivo per cui chi vi scrive vi sconsiglia di proseguire se non l’avete vista.
Per quanto riguarda chi invece ha già visto la serie, possiamo proseguire…
Rinnovare un protagonista
Cosa mettere in bocca ad un personaggio che sembra aver finito le cose da dire da quasi un decennio? Come ridare linfa vitale ad un protagonista sorretto dall’affetto di una fanbase fortemente fidelizzata e da un interprete eccezionale, ma ormai privo di sostanza?
Queste le prime domande alle quali lo sceneggiatore Michael Waldron e la regista Kate Herron avranno dovuto trovare una risposta per dare un punto di partenza al loro Loki, e la loro soluzione è tanto semplice e intuitiva, quanto funzionale ed efficace: semplicemente, il Loki protagonista della serie è una variante del Loki antagonista di quel primo Avengers del 2012, ossia l’ultima occasione nella quale il personaggio non era risultato superfluo e sovraesposto esclusivamente dalla sua popolarità, e per ritirare fuori questa versione del personaggio ricorrono ad un espediente che amplia le possibilità narrative del MCU, e al contempo la sua cosmologia.
L’introduzione della Time Variance Authority, o più semplicemente TVA.
In effetti il contenuto dei primi due, spettacolari episodi si può riassumere in un’operazione di rinnovamento del personaggio di Loki, che ci viene mostrato da un punto di vista finora totalmente inedito, o per meglio dire, al quale viene offerto un punto di vista totalmente inedito su sé stesso (e qui è doveroso un plauso all’immensa abilità recitativa di Hiddleston, che nella scena in cui il dio dell’inganno assiste a tutta la sua vita offre una delle sue migliori performance attoriali dall’inizio della sua permanenza nell’MCU), e dello stesso MCU tramite la TVA, la quale si dimostra essere però un’arma a doppio taglio: se da un lato ci permette di approfondire concetti fino ad ora a malapena accennati quali il multiverso e i viaggi temporali, e di introdurre un’accoppiata entrata fin da subito tra le favorite dei fan per la sua capacità di passare con versatilità da un’ironia da un buddy cop movie a dialoghi profondi e filosofici riguardanti il senso della vita o il libero arbitrio, ossia quella formata da Loki e l’agente Mobius (un Owen Wilson in forma smagliante), dall’altro lato qualunque altro elemento riguardante la TVA non riesce a suscitare altrettanto interesse.
Chi vi scrive si riferisce nello specifico ai personaggi di B-15 (Wunmi Mosaku), il cui arco narrativo risulta una pallida imitazione di quello di Mobius, ma soprattutto a quello del giudice Ravonna Renslayer (Gugu Mbatha-Raw), un personaggio la cui ambiguità avrebbe potuto rappresentare la sua forza, e che invece, come nel caso di John Walker in Falcon and the Winter Soldier, finisce per divenire la sua debolezza: a volte una diligente agente dell’ordine con un senso del dovere ai limiti del fanatismo, altre volte con il viso attraversato da un ghigno arcigno da cattiva da fumetto, a volte certa del suo ruolo all’interno dell’ordine stabilito, altre volte incerta e tormentata, i suoi continui cambi di atteggiamento la rendono, in sostanza, difficile da inquadrare, e altrettanto difficile risulta empatizzare con lei e appassionarsi al suo arco narrativo, specialmente quando questo viene alternato a quello di Loki, infinitamente più interessante ed appassionante…Questo finché il dio dell’inganno non smette di essere il solo…
“Comunque una storia d’amore migliore di Twilight”…?
A circa metà della stagione, Loki scopre che la sua variante alla quale la TVA sta dando la caccia è una sua versione femminile intenzionata a distruggere l’agenzia, colpevole di aver cancellato la sua realtà e di averle dato la caccia per tutta la vita, e il rapporto che si viene a creare tra i due diverrà il centro della narrazione, che da quel punto in poi comincerà a calare sempre più di qualità.
Come avrete intuito, a modesto parere di chi vi scrive il personaggio di Lady Loki, o come preferisce essere chiamata, Sylvie, è uno dei principali punti deboli della serie. Scegliete voi il motivo che preferite: il suo background a malapena accennato che rende difficile appassionarsi alla sua crociata, la monotonia delle sue motivazioni che non vanno oltre la semplice vendetta, la conseguente mancanza di quella complessità e ambiguità che rende affascinante il personaggio di Loki, o la stessa performance di Sophia Di Martino, che pur essendo tutt’altro che pessima, non ha mai occasione di brillare veramente in quanto costantemente oscurata dalla bravura di Hiddleston o di Wilson.
Ma queste sono piccolezze in confronto al vero, grande problema di Sylvie, ossia la gestione del suo rapporto con Loki: non importa quanto Hiddleston e la Di Martino cerchino di renderlo convincente, non importa come Herron e Waldron decidano di interrompere letteralmente la narrazione per dedicare un’intera puntata alle interazioni tra le due varianti, o come lo stesso Mobius sottolinei come Loki si sia letteralmente innamorato di sé stesso, ad evidenziare la natura narcisistica di quel rapporto… Questo rimane comunque forzato, artificiale e repentino, e vedere Loki perdere la testa, l’ambiguità e la dignità e trasformarsi in un sottone dagli occhi languidi per una donna letteralmente appena conosciuta (e che pur essendo tecnicamente un’altra versione di sé stesso non sembra avere praticamente niente in comune con lui, quindi la storia del narcisista autodistruttivo se ne va a farsi benedire) fa letteralmente male agli occhi, e fa correre un brivido lungo la schiena al pensiero dei cosplayer e delle sedicenni che cominceranno a condividere foto e fanart di dubbio gusto relative a questa nuova e quanto mai improbabile coppia.
In compenso, per chi come chi vi scrive desiderava vedere delle varianti davvero interessanti del dio dell’inganno, ci pensa il quinto episodio a correggere il tiro.
Nel mostrare in azione tutte le varianti Loki resettate dalla TVA nel corso dei millenni, Michael Waldron (che ricordiamolo, si è fatto le ossa come sceneggiatore di Rick and Morty, uno show che con tematiche come i viaggi nel tempo e nelle realtà parallele ci sguazza letteralmente) ha finalmente modo di scatenarsi in un crescendo di creatività, azione, emozioni, e autoironia, popolato da personaggi uno più memorabile dell’altro, dal poderoso Boastful Loki, al breve ma intenso Presidente Loki, passando per il misterioso Kid Loki, e giungendo infine ai mitici Alligator Loki e Classic Loki, quest’ultimo interpretato da un Richard E. Grant che ruba letteralmente la scena a tutti.
Ma proprio quando la serie arriva al suo apice, e l’hype dello spettatore cresce a dismisura nell’attesa di un finale altrettanto epico… Arriva il sesto ed ultimo episodio.
Semplicemente in questo episodio nulla funziona: dal ritmo paragonabile a quello di un documentario sui termosifoni, al comportamento illogico dei due protagonisti culminante nella tanto inevitabile quanto forzatissima slinguazzata tra i due, dalle sottotrame legate agli agenti della TVA (le quali ora più che mai rivelano quanto il loro unico ruolo nell’economia della serie sia quello di far arrivare la puntata a una cinquantina di minuti di durata), alla rivelazione del vero antagonista, l’ormai famigerato “Colui che rimane”, interpretato da quel Jonathan Majors che presto avremo modo di rivedere come Kang il Conquistatore in Ant-Man and the Wasp: Quantumania, e il cui unico ruolo nell’intera serie è esibirsi in un tedioso e interminabile monologo volto a fornirci informazioni già forniteci fin dal primo episodio.
E mentre chi vi scrive cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno pensando all’unica cosa buona ricavata da questo finale di stagione, la nascita del tanto millantato Multiverso Marvel, e si sforza nel provare un minimo di curiosità per l’annuncio della seconda stagione, vorrebbe anche non limitare la riflessione su questo sesto episodio ad una sequela di insulti gratuiti, e ipotizzare come sarebbero potute essere gestite determinate cose per farlo funzionare meglio. A detta di chi vi scrive infatti, sarebbe stato molto più interessante se, anziché una variante di quello che sarà il prossimo grande antagonista del MCU presentataci letteralmente nell’ultimo atto del racconto, la figura dietro la facciata dei Custodi del Tempo si fosse rivelata quella di un’altra variante di Loki.
Magari qualcuno di voi lettori potrebbe ritenerla una scelta troppo ridondante, ma i motivi per cui sarebbe stata molto più sensata sono presto detti:
1) Loki è una serie che parla di un Loki, che si innamora di un Loki e si allea con altri Loki… A questo punto tanto valeva fargli anche combattere un Loki (i prossimi motivi saranno più seri).
2) Nel corso della serie viene spesso rivangato un concetto ricorrente, ossia che “ciò che fa di un Loki un Loki, è che sopravvive sempre”… dunque perché non rendere il vero capo della TVA una variante di Loki sopravvissuta alla grande guerra nel Multiverso?
3) Il fatto che il vero capo della TVA fosse un Loki avrebbe spiegato perché siano proprio le varianti di Loki a dare più problemi all’agenzia… Semplicemente sono coloro che hanno più probabilità di rubargli il trono.
4) Quanto sarebbe stato ironico se Loki, il cui desiderio principale è sempre stato il dominio, avesse scoperto di essere stato dominato per tutto il tempo… Da sé stesso?
Ma vabbè. Ormai è andata così. Probabilmente leggendo questa recensione qualcuno di voi penserà: “ Se vabbè, a sto punto perché nu ‘a scrivi te ‘a serie”. E probabilmente avete ragione. Semplicemente chi vi scrive non riesce a fare a meno di pensare che talvolta è fin troppo facile limitarsi a critiche distruttive senza aggiungere niente di costruttivo, limitarsi a dire “quel prodotto fa schifo” senza neanche provare a riflettere su quel che avrebbe potuto fare per “fare meno schifo”, e se qualcuno di voi pensa che da questa riflessione traspaia un atteggiamento arrogante, pensate anche a come la serie stessa si sia divertita, come la collega Wandavision, a creare aspettative puntata dopo puntata, a suscitare ragionamenti intricati e improbabili teorie per poi sovvertire le aspettative, e a come quindi sia forse una di quelle serie che maggiormente si prestano a questo tipo di riflessioni.
“Colui che vi scrive” se la tirerà pure un pochetto, ma dovete concederglielo, il contesto se lo è scelto bene.
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Ivan Guidi
2021-07-27 12:27:24 ,