Partendo da questa base, i ricercatori stanno cercando di prendere due piccioni con una fava: sperimentare trattamenti in grado di alleviare la malattia e, allo stesso tempo, valutare alcune ipotesi per fare luce sul long Covid. “Dobbiamo fare queste cose in parallelo vista l’urgenza. È come costruire la nave mentre navighiamo, ma dobbiamo farlo perché le persone hanno bisogno di aiuto”, spiega Geng.
Gli studi in corso
Questa accozzaglia di sintomi però rende molto più complicato progettare studi clinici. Non tutte le persone manifestano la totalità dei sintomi, che possono variare anche per gravità e durata. Inoltre, non c’è consenso sulla defizione di long Covid, afferma Steven Deeks, medico e specialista in malattie infettive presso l’Università della California di San Francisco: “Non c’è un biomarcatore magico, non c’è una radiografia, non c’è un test”. Per questo motivo, capire quali soggetti inserire in uno studio clinico è difficile. Al momento, le diagnosi funzionano per esclusione, ovvero stabilendo cioè che i sintomi non possano essere spiegati da nessun’altra causa.
Akiko Iwasaki, immunologa dell’Università di Yale, sta conducendo uno studio randomizzato e controllato su cento pazienti affetti da long Covid, per verificare se l’antivirale Paxlovid di Pfizer, progettato per il trattamento del Covid-19 sintomatica, possa effettivamente essere d’aiuto. La motivazione della sperimentazione si basa sull’ipotesi della riserva virale: Paxlovid potrebbe eliminare qualsiasi residuo di Sars-CoV-2 persistente nonostante la risposta immunitaria dell’organismo. Dal momento che lo studio è randomizzato, l’équipe spera che tra i partecipanti ci siano persone che hanno sviluppato forme di long Covid per via di meccanismi biologici diversi. I pazienti saranno divisi in gruppi: uno riceverà Paxlovid per 15 giorni mentre all’altro sarà somministrato un placebo.
I ricercatori verificheranno la presenza delle “firme” immunitarie riscontrate dalle persone affette da long Covid, come le proteine spike della Sars-CoV-2 . Iwasaki e il suo team hanno in programma di misurare i biomarcatori immunologici prima, durante e dopo il trattamento e di verificare quali di questi sono comuni nei soggetti che hanno registrato miglioramenti grazie alla terapia. “Non si tratta solo di stabilire la percentuale delle persone che ne trarranno beneficio ma anche di scoprire chi e perché ne beneficia”, sottolinea Iwasaki.
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di Grace Browne www.wired.it 2023-04-23 16:00:00 ,