In quel momento con quel combattimento tra il gigante e il Piccolo Drago, l’Ultimo Combattimento di Chen smetta di essere un film, diventa quasi filosofia su pellicola. Perché Bruce Lee ha di fronte il suo doppio, un prolungamento della sua rivoluzione, la sua volontà di essere come l’acqua, di non avere una forma o uno stile definito, di abbracciarli tutti senza legarsi a nessuno veramente. Perché quel villain è slegato da quella rigidità che il Lee ha superato tutto sommato agilmente nei due duelli precedenti. Bruce Lee fa qualcosa di più di combattere contro un avversario che lo supera in stazza a lungo e potenza, di fatto rappresenta la lotta contro la standardizzazione del suo stesso pensiero, per ottenere la conoscenza, quella illuminazione che è il primo, tangibile, tallone d’Achille che gli permetterà di sconfiggere il suo nemico. La ricerca della luce, del superamento della propria paura, l’esemplificazione di un credo fatto di costante ricerca, di mobilità, del rifiuto dell’ipse dixit, la vita concepita come un flusso costante.
L’Ultimo Combattimento di Chen, opera vergognosa di strumentalizzazione di un mito uscita 45 anni fa, è però anche allo stesso tempo forse il suo grande testamento, anche più de i Tre dell’Operazione Drago o l’Urlo di Chen terrorizza anche l’occidente, con quel duello con Chuck Norris, riesumato poi per pochi secondi con spezzoni prelevati altrove. Perché in quella pagoda, in quel duello finale, nell’eterna salita alla ricerca di un tesoro che è impalpabile ed invisibile, lo stesso che avremmo avuto in Kung Fu Panda, echeggiano anche gli echi del mito della caverna di Platone. Bruce Lee proprio nel duello finale anticipa la creazione delle arti marziali miste, ad oggi uno degli sport più popolari del mondo ma anche quello che di fatto ha messo in soffitta la vecchia concezione di arti marziali. Non possono essere più universi separati, con la loro secolare tradizione, i loro riti, che sono anche i punti deboli che Lee stesso, dentro e fuori il grande schermo, aveva sempre cercato di mostrarci.
A mezzo secolo dalla morte di Lee, questa stranissima, inquietante se vogliamo, pellicola non smette di affascinarci, di essere ad un tempo controversa ed illuminante. Un fatto dimostrato del resto dalla quantità esorbitante di cloni ed eredi anche nobili che da quel momento cercarono di imitare Lee, senza il quale non avremmo mai avuto Donnie Yen, Jet Li o anche Jason Statham. La sua stessa struttura narrativa del resto , è stata ripresa tantissime volte. Qualcuno è arrivato anche a indicare quel film, quegli ultimi minuti, l’idea originale di Bruce Lee soprattutto, non solo e non tanto come una esemplificazione del percorso dell’eroe, ma come il prototipo dell’universo videoludico che oggi ci domina, con i boss da battere, il tesoro da conquistare, i livelli da salire. Difficile dare torto ad una simile visione per quanto audace, a questa idea, perché di base lui, Bruce Lee, in fondo sempre stato un uomo che viveva nel futuro, che lo anticipava, forse anche al di là di quanto egli stesso comprendesse fino in fondo.
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di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-07-20 04:40:00 ,