Se la sostenibilità era in cerca di un popolo, l’ha trovato al Festival di Green & Blue. Per due giorni al Teatro Parenti di Milano si sono incontrati ambientalisti e aziende, sindaci e ministri, scienziati e visionari. Abbiamo scoperto che c’è una rete di famiglie che si organizza ogni giorno per arrivare all’obiettivo dei rifiuti zero; e abbiamo incontrato esploratori che pedalano in Siberia o remano sui fiumi della Cina solo per raccontare gli effetti del cambiamento climatico. Abbiamo ascoltato i migliori progetti fatti su carta nelle scuole da diciassettenni che si presentano già come amministratori delegati di startup che un giorno potrebbero migliorare le cose; e abbiamo ammirato i progetti già realizzati dai nostri migliori architetti per avere città sostenibili. Ma soprattutto abbiamo capito che la sostenibilità non è un settore, una nicchia, ma un nuovo modo di vivere e guardare al mondo. Qualcosa che attraversa ogni aspetto della nostra vita per arrivare anche alla moda, al cibo, al calcio, all’arte.
Il ministro Enrico Giovannini, che della sostenibilità è da tempo un alfiere, ha citato uno studio pubblicato con altri scienziati qualche anno fa: “Say goodbye to capitalism, welcome to the republic of wellbeing”, dite addio al capitalismo, benvenuta repubblica del benessere. Diceva, nel 2015, una cosa che oggi appare evidente ai più: il capitalismo, l’idea di uno sviluppo senza limiti, che non tenga conto degli effetti sul pianeta e sulle persone, non ha più senso. Il prodotto interno lordo, che regge ancora l’attuale sistema economico mondiale, è un indice riduttivo e fuorviante del benessere e della felicità. Non solo perché copre enormi ingiustizie sociali, ma perché se continuiamo così, fra poco tempo sarà troppo tardi per salvare il mondo. Carlo Ratti, che ha presentato un formidabile progetto per riscaldare la città di Helsinki azzerando le emissioni di CO2, è partito da un libro che raccoglie gli interventi dell’inventore Buckminster Fuller: Utopia or oblivion, il cui senso è, se non cerchiamo di fare qualcosa di davvero ambizioso, rischiamo l’estinzione.
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Festival di Green&Blue: Soldini, Petrini, Francesca Michielin ed Elisa per il gran finale
a cura di
Paola Rosa Adragna
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Fiammetta Cupellaro
Eppure al Festival si respirava un’aria contagiosa di ottimismo. Di rabbia mista ad ottimismo, come ha detto la cantante Erica Mou che ogni anno il 1 maggio va a cantare a Taranto per ricordare i disastri ambientali creati da una industria sbagliata.
Ma l’ottimismo c’è. Dobbiamo cambiare tutto e la buona notizia è che possiamo farlo. Come ha detto l’ultimo report dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, la notizia non è più che siamo in ritardo, la notizia è che ci sono le tecnologie per recuperare. E’ diventato conveniente farlo. E quindi doveroso. Essere un’azienda sostenibile non è soltanto un nice to have, una medaglietta da esibire nei comunicati stampa per fare greenwashing, ma un requisito per stare in un mercato in cui i consumatori iniziano a scegliere anche in base a chi ha scelto di cambiare. Le aziende, al festival si è visto, si stanno svegliando. In questo senso forse la storia più emblematica è quella di una storica acciaieria italiana che sta per arrivare, prima al mondo, alla neutralità carbonica. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno avremmo avuto un acciaio sostenibile? L’utopia si può realizzare. Buckminster Fuller in fondo lo diceva 60 anni fa.
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-06-07 10:51:07 ,
www.repubblica.it
[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-06-07 10:51:07 ,
Il post dal titolo: L’utopia necessaria – la Repubblica scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-06-07 10:51:07 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue