M. Il figlio del secolo è sbarcato sui nostri schermi (in esclusiva su Sky e Now)e già fa discutere, divide, attira critiche e plausi, in virtù di una natura divisiva che era inevitabile risplendesse. Questo non solo per la volontà di parlarci di lui, di Benito Mussolini, ma soprattutto per uno stile narrativo e un’estetica molto particolari, dove il grottesco si unisce al teatrale, dove la satira e il dramma vanno a braccetto. Eppure, alla fine, non c’era un’altra strada per parlarci di quell’Italia e dei suoi protagonisti.
Una serie che azzera la distanza tra narrazione e pubblico
M. Il figlio del secolo fin dall’anteprima a Venezia 2024 ha fatto capire di essere il frutto di una visione chiara e deliberata di portare il romanzo di Antonio Scurati sul piccolo schermo, cercando di travolgere lo spettatore con un’energia perennemente sopra le righe. Luca Marinelli difficilmente troverà in futuro un ruolo più incisivo e calzante di questo Benito Mussolini, creato con 20 kg in eccesso, un pesante make up e uno stare sopra le righe sempre e comunque, in una serie che nelle mani di Joe Wright, è un teatro in movimento. La critica e il pubblico si sono divisi, non solo per le dichiarazioni di Marinelli, ma proprio per come la serie, arrivata su Sky, attinge continuamente ad uno sfondamento della quarta parete, guarda dritto negli occhi lo spettatore, rinnega una costruzione diegetica classica.
Il risultato senz’altro è particolare, può risultare ostico od inusuale, è un precedente non da nulla nella nostra storia televisiva, ma è anche l’unico modo in cui si poteva parlare di fascismo, di Benito Mussolini, di quell’Italia che dopo il primo conflitto mondiale, si fa irretire dal primo, grande seduttore di folle del XX secolo. M. Il figlio del secolo nasce da un lungo lavoro da parte di Stefano Bises e Davide Serino, i due sceneggiatori, che fin dall’inizio hanno delineato le principali caratteristiche di questa serie, dove la realtà storica va a braccetto con un tono onirico, a volte quasi fumettistico ed esagerato. Mussolini si confessa a noi, spettatori in realtà onniscienti, eppure ancora in preda all’ebrezza di un’incertezza che non ha senso di esistere, sappiamo come andrà, sappiamo che passerà impunito attraverso mille misfatti. Allora perché questa suspense? Questa tensione?
Il punto fondamentale è che dietro la patina di manierismo, di virtuosismi tecnici e il fare da mattatore di Luca Marinelli, c’è grande verità in questa serie, c’è un ritratto unico di quell’Italia per incisività ed energia, ed è il risultato di aver dato in mano a Joe Wright, regista per certi versi incostante, un arsenale espressivo modernissimo, lontano dalla vecchia concezione di fiction storica. Fate un confronto con La Lunga Notte, che tanto doveva fare e suscitare, ed invece ha sprecato un’occasione d’oro, quella cronaca del Gran Consiglio che sancì la fine del fascismo in Italia, ma che è sprofondata nella scolasticità e prevedibilità più passatista, da fiction generalista. M. Il figlio del secolo si aggrappa per cominciare ad una fotografia spesso dai toni rossicci, oscuri, è granulosa e carica.
Non è un caso perché strizza l’bulbo oculare proprio al cinema e alla fotografia dell’epoca, crea una profondissima immersione in un racconto che, nella realtà, è sempre comunque narrato in prima persona da Benito Mussolini. Luca Marinelli ci accompagna con la sua voce narrante, oppure ci guarda, dritto negli occhi, ci spiega come ingannare il destino, la giustizia, un intero sistema politico, un intero paese e un’intera generazione di reduci. Egli ci parla e così facendo il suo presente diventa passato nel momento stesso in cui l’annuncia. La finalità ultima di M. Il figlio del secolo è di ottenere così un’immersione totale nel tempo e nello spazio, azzerando la distanza che una narrazione classica avrebbe creato. La cosa può sembrare sorprendente, ma non è la prima volta, anzi, a conti fatti Joe Wright riprende lo stile che ha permesso ad una serie come House of Cards di diventare qualcosa di mitologico.
Un racconto esteticamente su misura per l’epoca digitale
La storia degli Underwood alla Casa Bianca è stata la grande narrazione politica del nostro tempo, una serie straordinaria, capace di prenderci per le viscere e portarci dentro il gioco del potere americano come nessun’altra prima. Ma se House of Cards affondava le proprie dita nella brutalità, in una visione machiavellica e crudele della Storia, in una malattia etico costante con strascichi di follia, quello che invece mette spesso a disagio di M. Il figlio del secolo è come cerchi piuttosto di creare una normalizzazione del nostro rapporto proprio con lui, con il futuro Duce. Benito Mussolini ci viene mostrato nella sua complessità umana prima ancora che politica. Sfondare la quarta parete non è certamente qualcosa di nuovo, a dire la verità sono tantissime le serie e i film che l’hanno fatto, basti pensare a Deadpool & Wolverine, a Enola Holmes.
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di Giulio Zoppello www.wired.it 2025-01-14 09:07:00 ,